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Ferrarese, classe 1984, inizia a studiare danza classica a quattro anni, ma diventa poi una ginnasta agonista. Nel frattempo passa senza soluzione di continuità dalla danza moderna e dalla disco dance al butoh giapponese e allo yoga, alla ricerca di un mondo che le assomigli. Dopo l’incontro con Giorgio Rossi e Caterina Tavolini, capisce che forse la strada giusta è quella della danza contemporanea e decide di andarsene prima al Balletto di Toscana e poi a Londra al Laban Centre. Dal 2009 lavora come danzatrice nelle produzioni di Sasha Waltz & Guests. È la danzatrice, performer e coreografa Francesca Pennini e, con un curriculum così eterogeneo e movimentato, la compagnia che ha fondato nel 2007 dopo essere tornata nella sua Ferrara non poteva che chiamarsi Collettivo Cinetico: “una rete flessibile e attraversabile di collaborazioni” che lavora sulla contaminazione fra movimento, musica, video e immagine. Il loro lavoro è volutamente fuori dagli schemi, tanto che a seconda degli spazi in cui si esibiscono e della performance che eseguono “ci inseriscono a volte nel cartellone di danza, a volte in quello di prosa”, scherza Francesca.
In questi anni Collettivo Cinetico ha prodotto 29 creazioni e ricevuto numerosi riconoscimenti, di cui il premio Rete Critica come miglior artista/compagnia 2014 è solo l’ultimo in ordine di tempo. Dal 2013 è una compagnia di produzione danza riconosciuta e sostenuta dal Mibact. È compagnia residente stabile presso il Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara: insieme portano avanti progetti di educazione e formazione sia con giovani artisti sia con i ragazzi degli istituti scolastici ferraresi.
Proprio sul palcoscenico estense, che è un po’ la “casa dove tornare fra un tour e l’altro” come lo definisce Francesca, il Collettivo porterà le sue ultime creazioni: il 20 e il 21 novembre “10 Miniballetti” e la breve performance “Come il cavallo guarda il falco”, esito finale del laboratorio condotto con un gruppo di studenti dell’Università di Ferrara; il 3 dicembre “Amleto”, spettacolo dal formato aperto in cui ogni volta quattro candidati si propongono per il ruolo di protagonista.
Alla vigilia del primo di questi tre appuntamenti abbiamo intervistato proprio Francesca Pennini, colei che ha messo in movimento il Collettivo Cinetico.

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Francesca Pennini

I lavori del Collettivo Cinetico sono sempre ibridi, all’incrocio fra diversi linguaggi performativi, spesso messi in atto in spazi altri rispetto a quelli consueti della danza. L’unico denominatore comune sono il gesto e la fisicità, o meglio la ricerca su gesto e fisicità.
Il corpo e la sua relazione con gli spazi, non solo quelli dedicati e tradizionali per la danza, diventano il soggetto della ricerca. Spazi diversi o più complessi come quelli urbani offrono stimoli molto interessanti con cui interfacciarsi, inoltre il corpo e il movimento non per forza di danzatori ‘meticciano’ il mondo della danza con quello del quotidiano. Insieme aprono contaminazioni con la vita in generale. L’ultima componente è il lavoro formale sulla struttura e i codici degli spettacoli intesi come eventi: l’obiettivo è scardinare le regole di base che ci si aspettano nel fare o nel vedere uno spettacolo. Ne risulta una contaminazione di linguaggi per cui, oltre agli spazi urbani e al palcoscenico, alcune nostre performance potrebbero essere ospitate anche in gallerie d’arte.

Che rapporto c’è nel vostro lavoro fra l’evento visto dal pubblico e la ricerca che porta a quell’evento?
Io credo che gli eventi che vengono mostrati non debbano coincidere con il processo di ricerca: lo spettacolo è ‘sintetico’, nel senso che è una sintesi della ricerca pensata per la fruizione del pubblico. Il percorso e la ricerca che stanno dietro possono essere stati anche completamente diversi, in un certo senso segreti nella misura in cui sono serviti per creare quell’evento. Però mi piace anche l’idea che gli spettacoli siano comunque mutevoli, quindi quello che si vede è sperimentale e di ricerca perché c’è una dimensione imprevista, siamo in uno spazio di improvvisazione controllata, perciò ogni replica è diversa e il pubblico fa parte a tutti gli effetti di questo sistema.

A proposito di pubblico: esiste per voi lo spettatore contemporaneo? Quanto e perché è importante per voi l’aspetto formativo del pubblico?
Per noi la figura dello spettatore è sempre centrale, non solo durante lo spettacolo, ma durante tutta la ricerca performativa che porta alla sua creazione, perché non può esistere uno spettacolo senza lo spettatore e il modo in cui gli spettatori accedono o accolgono o si scontrano con la visione cambia il lavoro che fai. Non perché si debbano assecondare ma perché c’è una condivisione dello spazio-tempo, perciò c’è una reciproca influenza dei soggetti.
Il problema nel caso della danza contemporanea è la scarsità di pubblico, l’essere considerata un settore di nicchia. Proprio per questo è importante che, da parte degli artisti, ci sia una sensibilità e un’apertura; il che non significa scendere a compromessi di riconoscibilità o creare lavori più accattivanti, ma crescere insieme allo sguardo di chi sta fruendo gli eventi, porsi in una dimensione di generosità nei confronti della relazione con il pubblico, ad esempio accompagnando la visione, come facciamo nei nostri percorsi con gli studenti, e considerando sempre lo spettatore come soggetto in gioco a tutti gli effetti. È brutto, come spettatore, assistere a qualcosa e avere l’impressione che poteva esistere anche senza di te.

State lavorando tanto su questo versante insieme al Teatro Comunale Claudio Abbado, come dimostrano i workshop degli anni scorsi con ragazzi adolescenti per lo spettacolo “age” e quello di quest’anno con gli studenti universitari, il cui risultato è “Come il cavallo guarda il falco”, che vedremo il 20 e il 21 novembre nelle sale del Ridotto. Come è stato lavorare con queste due diverse fasce d’età?
In realtà è difficile paragonarli perché avevano presupposti differenti. Forse con gli universitari è più facile incontrare persone che avevano già in germe un interesse e progredire da quel punto per un approfondimento di alcuni aspetti. Per gli adolescenti, invece, è spesso la scoperta e l’apertura di un mondo. Inoltre il rapporto con la fisicità è in un momento più caldo. Perciò forse con gli adolescenti un lavoro di questo tipo lascia un segno più profondo in un momento particolare, mentre per gli universitari è culturalmente più rilevante, perché arricchisce gli strumenti a disposizione per diventare spettatori più consapevoli.

Passiamo ora a “10 Miniballetti”, che è il tuo primo solo e che vedremo in scena il 20 e il 21 novembre.
A differenza degli ibridi di cui abbiamo parlato prima, questo è un lavoro di danza, anche se uso spesso la parola: il movimento è il soggetto principale perché lavoro sul mio rapporto con la danza. Sono in scena da sola, insieme a un drone con cui mi scambio durante lo spettacolo. Perciò l’altro elemento fondamentale dello spettacolo è l’elemento aereo, il volo, inteso come simbolo del controllo. Per quanto riguarda la drammaturgia, sono andata a ripescare il materiale dei quaderni di coreografie che ho scritto da piccola, con un po’ di pudore devo dire provo a mettere in scena il rapporto con la proiezione di me stessa di molti anni fa

Il 3 dicembre invece andrà in scena “Amleto”, con cui si torna a quell’improvvisazione controllata che ha già caratterizzato “” e altre vostre creazioni
Sì, “Amleto” come “” è un dispositivo coreografico più che uno spettacolo: ogni volta ci sono candidati che si iscrivono mandando una mail alla compagnia, ora è aperta la call per la data di Ferrara. Poi noi scegliamo quattro concorrenti che andranno in scena: senza essere preparati, ma avendo ricevuto solo istruzioni via mail, si presenteranno il giorno stesso dello spettacolo e saliranno sul palco in incognito, a viso coperto per sottoporsi a delle prove. Tutta la drammaturgia è strutturata sul rapporto tra prosa e danza, tra parola e azione, che è poi una delle tematiche dell’“Amleto” di Shakespeare. “Essere o non essere” diventa qui il principio di selezione perché il pubblico applaudendo sceglie chi diventa Amleto: in questo senso è uno spettacolo un po’ cinico e nello stesso tempo è molto ludico. Molto dipende dal pubblico e dai candidati stessi. Come accade per il testo teatrale di Shakespeare, è una sorta di trappola infernale in cui si rimane invischiati.

Collettivo Cinetico: perché questo nome e perché a Ferrara?
Cinetico perché il focus è sul movimento, ma anche perché la struttura stessa della compagnia è costantemente mobile, a parte il nucleo formato da me, Angelo Pedroni e Carmine Parise. Mi piaceva che il nome desse l’idea non di staticità, ma del ridiscutersi continuamente: mobili i ruoli e le figure coinvolti, non c’è un lavoro progressivo con le stesse persone, ma un’esplosione orizzontale di possibilità. All’inizio era quasi una frustrazione non potere avere una struttura con una certa stabilità, ma con il tempo abbiamo compreso che, in un momento come questo, è invece una risorsa: è necessario essere in grado di divincolarsi in un continuo riassestamento.
A Ferrara perché, pur con tutti i suoi difetti, a me piace: rispetto a grandi città che offrono moltissimi stimoli, Ferrara ha ancora una dimensione vivibile. In più qui la danza ha un valore riconosciuto, perciò mi piaceva l’idea di coltivare con altre persone un tessuto che a me è mancato quando ero più giovane e sono stata costretta ad andare a cercare altrove, offrire degli stimoli, lavorare sul territorio.

Progetti futuri? So che, per esempio, sei stata selezionata per il progetto “Prove d’autore XL” che già a dicembre ti porterà a Roma a con 14 danzatori e danzatrici del corso professionale di danza contemporanea del Balletto di Roma…
Sono molto incuriosita, perché il fatto che siano danzatori quasi professionali paradossalmente per me è quasi un ‘esotismo’, li sento più particolari rispetto a degli adolescenti o degli sportivi, quindi per me sarà uno stimolo peculiare. Inizierò con loro dei ragionamenti che poi porteremo avanti con la compagnia nel corso dell’anno successivo. Fra marzo e aprile 2016 ci sarà poi una personale del Collettivo a Bologna curata da Ert, con tantissimi lavori del nostro repertorio e delle produzioni nuove. Inoltre saremo all’estero con “10 Miniballetti” perché siamo stati selezionati per la piattaforma “Aerovawes 2016”, una rete di circuitazione formata da 33 paesi europei. Infine a gennaio inizieremo a lavorare a una nuova produzione che debutterà a settembre 2016: dopo “Amleto” che è un classico della prosa ci cimenteremo nel rifacimento di un classico del balletto, la “Sylphide”.

Immagine di copertina: © Collettivo Cinetico. Foto di Angelo Pedroni

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Federica Pezzoli


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