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Secondo Martin Heidegger la forma autentica di cura, che il filosofo considera l’espressione principale del rapporto tra l’uomo e gli altri, è riconoscere pienamente all’altro la libertà di prendersi cura di se stesso; a partire da qui, possiamo disporci a prenderci insieme cura del mondo. L’aver cura degli altri diventa autentico coesistere solo se gli altri sono aiutati a conseguire la libertà di assumersi le loro cure.

Un incipit molto teorico e poco pragmatico per un articolo di giornale, lo ammetto, ma forse non così tanto perché è proprio a questo modo di prendersi cura dell’altro che ho pensato al termine dell’incontro con Wladimir Fezza, presidente della Cooperativa Sociale Scacco Matto, nata nel 2010 a Portomaggiore e che ha appena aperto “Sorsi e Morsi”, un bar-tavola calda in via Porta San Pietro, tra via Carlo Mayr e via XX settembre.

Quando arrivo Wladimir è impegnato in cucina, in sala però c’è il presidente di Legacoop Ferrara Andrea Benini: Scacco Matto è una loro associata, perciò quale luogo migliore per il pranzo? È lui a spiegarmi che, anche se non molti lo sanno, “quello della cooperazione sociale è il ramo più autenticamente prodotto dalla cultura cooperativa italiana. Poi è stato per così dire copiato in tutta Europa come modello efficace per l’integrazione e l’inserimento lavorativo di fasce di popolazione in difficoltà”. In Italia le cooperative sociali nascono ufficialmente con la legge 381 del 1991: il loro scopo, si legge all’articolo 1, è “perseguire l’interesse generale della comunità attraverso la promozione umana e l’integrazione sociale dei cittadini” attraverso “a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate”. “Questo svantaggio nell’accesso al mercato del lavoro – mi spiega Benini – viene codificato in quattro aree: persone in carico al dipartimento di salute mentale, affette da dipendenze, che escono dal carcere e disabili psichici e fisici”, inoltre si fissa “un coefficiente di occupazione che è ben superiore a quello del collocamento obbligatorio: il 30% dei soci lavoratori deve essere appartenente a queste categorie”. Ora capisco meglio cosa significa che Scacco Matto è una cooperativa sociale di tipo A+B e che si occupa di servizi socio-assistenziali e dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, in particolare di persone in trattamento psichiatrico, invalidi psichici ed ex degenti di istituti psichiatrici.

Andrea Benini aggiunge che Ferrara “è un punto di riferimento” per questo tipo di realtà, non solo perché qui ha operato lo psichiatra basagliano Antonio Slavich, ma per la presenza storica sul nostro territorio di cooperative come Cidas (di tipo A) e Aro (di tipo B). “In più qui a Ferrara Legacoop e Confcooperative hanno costituito un consorzio unitario: ci sono tutte le cooperative sociali di tipo b della provincia, in modo da rendere possibili progetti integrati in cui ciascuno offre i servizi su cui è specializzato”. “Spesso le persone che fanno parte delle cooperative sociali – conclude Benini – sono state considerate non in grado di dare il proprio contributo e per questo sono state fatte oggetto di misure assistenziali quando non di marginalizzazione”, al contrario “il principio fondante delle cooperative sociali, in particolare di tipo B, è che queste persone possano dare un contributo e raggiungere livelli crescenti di autonomia e indipendenza proprio attraverso il lavoro, che diventa un architrave fondamentale di questo processo”.

A questo punto dalla cucina arriva Wladimir, che inizia a raccontarmi come Scacco Matto sia nata da “un progetto di inserimento lavorativo di persone svantaggiate, con l’idea di fare all’inizio un lavoro di nicchia. Poi le necessità del territorio si sono rivelate più ampie del previsto e l’iniziativa ha preso slancio già nel primo biennio. La svolta è stata però nel 2013, quando hanno preso piede anche le attività della parte A: trattamenti psico-riabilitativi a domicilio, accompagnamento di utenti svantaggiati e gestione di unità abitative con scopi riabilitativi a inserimento lavorativo. A oggi sono nove fra Portomaggiore e Copparo”.

È difficile interromperlo: le sue parole corrono veloci come i suoi pensieri i suoi progetti e, forse, anche i suoi sogni. Gli chiedo se anche prima di Scacco Matto operava nel sociale. “Spinto dai miei genitori mi sono diplomato all’ITIS, ma dopo due alienanti anni in fabbrica mi sono licenziato e ho seguito il mio istinto, o meglio  il mio sogno: iscrivermi a psicologia, per seguire le mie idee e dare sfogo alle mie passioni. I miei genitori, contrari a questa scelta, si sono messi di traverso, io però avevo già escogitato il piano “B”: un mio caro amico pizzaiolo mi ha insegnato l’arte della pizza e mi sono iscritto alla sede di Cesena dell’Università di Bologna, pensando che un pizzaiolo sarebbe stato sicuramente necessario in Romagna. Per quattro anni di giorno all’università di sera in pizzeria.  Ma non ero ancora soddisfatto, dovevo capire quello che studiavo anche dal punto di vista pratico, quindi saltando qua e là qualche lezione facevo anche volontariato presso una comunità psichiatrica che si trovava sulla strada per il lavoro. Poi sono rientrato nel ferrarese, dove ho continuato a lavorare nella ristorazione per completare gli studi. Mi sono laureato e, dopo un anno di tirocinio presso il Servizio Psichiatrico Territoriale, ho superato anche l’esame di stato per l’iscrizione all’albo: finalmente ero uno psicologo”.

Torniamo a Scacco Matto. Nel biennio 2013-2015 la parte B “ha continuato a macinare terreno e si sono istituiti vari gruppi di lavoro”: l’attività iniziale di tinteggiatura si è sviluppata e “da piccoli tinteggiatori di cancelli – scherza Wladimir – siamo diventati professionisti veri e propri sia per interni che esterni, gestiamo il bar dell’ospedale di Argenta e la camera mortuaria di Portomaggiore”, senza contare i lavori di manutenzione e la cura del verde. In più ci sono i “laboratori protetti: qui lavorano le persone con gravi patologie psichiatriche e cognitive, che per le loro condizioni hanno bisogno di un supporto e un tutoraggio educativo quotidiano”. Fra questi c’è La Bottega degli Usvei, che produce oggetti che vengono venduti a “diverse boutique italiane”. L’ultimo arrivato è proprio il bar-tavola calda “Sorsi e Morsi”, dove Veronica, terapista della riabilitazione psichiatrica, insieme a due professionisti del settore coordinerà otto persone provenienti dal dipartimento di salute mentale. Quattro sono già stati individuati: gli aiuto-cuochi Luca, Stefano e Paolo e la barista Elisa arriveranno ai primi di agosto. Gli altri quattro verranno selezionati a settembre-ottobre, attraverso un corso di formazione che si svolgerà sempre nel locale.

Attualmente la cooperativa segue 75 utenti e impiega 19 soci: 2 psicologi, 4 tecnici della riabilitazione psichiatrica, 4 operatori, 2 volontari e 7 “utenti esperti”, quindi “ circa il 40% dei lavoratori è rappresentato da utenti svantaggiati”. A loro volta i 75 utenti sono “per il 50% sull’asset socio-assistenziale e per il 50% sull’asset lavoro, assunzioni, tirocini formativi e borse lavoro, anche all’interno delle stesse strutture in un sistema integrato: se ci sono manutenzioni o traslochi da fare per le nostre unità abitative lo facciamo noi internamente, anche qui i lavori di ristrutturazione e tinteggiatura sono stati fatti dalla nostra squadra. In questo modo i pazienti che lavorano sono anche un modello per gli altri utenti dei nostri servizi e si innesca un circolo virtuoso”. È davvero un processo virtuoso se nel 2014 il fatturato annuo ha superato i 400.000 euro.

I loro punti di forza sono: l’idea di legare cooperazione sociale e associazionismo e la capacità di competere sul mercato, con una sempre più ridotta dipendenza dal committente pubblico, cioè i centri di salute mentale. “Abbiamo costruito una rete fortissima con le associazioni di volontariato sul territorio” come “Club amicizia” e “Club integriamoci”, le associazioni “Non più soli” e “Solidalmente”. Wladimir mi spiega che “il nostro cliente è l’utente, non il dipartimento di salute mentale”, quello che cercano di fare è inserirsi tra la fine di un trattamento protetto e l’inserimento lavorativo “velocizzando il processo burocratico dei progetti: agganciamo i pazienti quando tornano a casa o vengono nelle nostre unità abitative e li inseriamo singolarmente con un rapporto cooperativa-lavoratore”.

L’approccio è innovativo perché non c’è quasi più il paziente, ma solo il lavoratore: “il nostro obiettivo – sottolinea Wladimir – è combattere lo stigma dell’assistenzialismo, per esempio quando facciamo lavori di tinteggiatura per i privati, i clienti non sanno che la squadra è composta da persone svantaggiate, in questo modo ci pagano per ciò che abbiamo fatto, come avverrà qui nel bar”. Si parte sempre dalle esigenze e dalle competenze degli utenti: “parliamo con loro e cerchiamo di capire cosa facevano prima di ammalarsi”, così si decide e si deciderà anche in futuro quali altre attività commerciali sperimentare, “valorizziamo ciò che sanno fare gli utenti”. Ecco qui messa in pratica, senza tanta teoria, l’aver cura di Heidegger, che promuove l’autonomia dell’altro da sé.

L’ultima domanda che faccio a Wladimir riguarda tutti gli altri: quella comunità che non solo vede diminuire le spese per la cura e il sostegno dei suoi componenti con disagio psichico, ma che in più vede aumentare la creazione di ricchezza al proprio interno. “I famigliari naturalmente ci dimostrano una grandissima gratitudine: come per esempio i genitori di un ragazzo che in cinque anni si era fatto dieci tso (trattamenti sanitari obbligatori, ndr), mentre da quando tre anni fa ha iniziato a lavorare nei nostri laboratori protetti non ha più visto un giorno di ricovero”. “Per quanto riguarda il resto della cittadinanza, per esempio il vicinato delle nostre unità abitative, all’inizio sono un po’ intimoriti, ma poi mano a mano che si approfondisce la conoscenza si instaurano amicizie ed emerge la solidarietà: dopo sei mesi ci amano alla follia”, scherza Wladimir.

Immagini di Francesca Tamascelli. Clicca sulle foto per ingrandirle

scacco matto-i locali
Il locale Sorsi e Morsi
scacco matto-i locali
Il locale Sorsi e Morsi
Wladimir Fezza e Andrea Benini
Wladimir Fezza e Andrea Benini
inaugurazione Sorsi e Morsi-buffet
L’inaugurazione di Sorsi e Morsi
Sorsi e Morsi inaugurazione
L’inaugurazione di Sorsi e Morsi
Sorsi e Morsi inaugurazione
L’inaugurazione di Sorsi e Morsi
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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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