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Una storia d’immigrazione difficile, dura e complessa ma anche una bellissima storia d’amicizia, fatta di tenerezza, di attenzioni e di grande umanità.

Shun Li (Zhao Tao) passa le sue giornate fra un duro lavoro, senza orari, né pause né diritti, e un’anonima (e triste-grigia) casa, prima in un laboratorio tessile della più sperduta e tentacolare periferia romana, poi nella piccola, nebbiosa e umida Chioggia. Lavora per rimborsare il suo debito, fatto dei soldi necessari a ottenere un permesso di soggiorno per l’Italia e dei documenti per farvi arrivare il figlioletto di otto anni. Per “aspettare la notizia” dell’estinzione del debito e dell’arrivo del piccolo.

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Locandina del film

L’Italia è sullo sfondo, questa terra di sogni, speranze e desideri, dove una laguna, come quella veneta, accoglie ma anche intrappola, come l’acqua che non arriva tutta al mare. Chioggia sarà l’acqua ma anche la sua osteria, un posto caldo e accogliente, dove Li trova lavoro, ma anche comprensione, in tanta solitudine, e amicizia. Quell’amicizia che sfida ogni barriera, quella di Bepi (Rade Sherbedgia), “il poeta” pescatore di origini slave, immigrato in Italia ai tempi di Tito, trent’anni prima. Una fuga poetica, un dialogo silenzioso, sommesso e intenso fra culture.

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Li e “il poeta”, una scena del film

Ma l’amicizia tra i due turba le due comunità, quella cinese e quella chioggiotta, che ostacolano questo nuovo e avvincente viaggio, di cui forse hanno semplicemente ancora troppa paura. I pregiudizi restano duri a scalfiggere e a morire.
Ci sono lirica, poesia, sorrisi, leggerezza, delicatezza, incontri fra solitudini che si sfiorano, frasi non dette, situazioni insolite e insolute, in questo film. Quasi una favola.
Il paesaggio è spesso opaco ma un bel giorno è illuminato dalle lanterne, a forma di fiore in carta velina rossa, usate nella festa del grande poeta cinese Qu Yuan (340-278 a.C.) luci tremolanti che scorrono sulla laguna. Le poesie si parlano, qui. Sommessamente.
L’integrazione si dimostra difficile. Le due comunità non hanno una vera possibilità di comunicazione e il pubblico ha bisogno dei sottotitoli per comprendere la lingua di entrambe (cinese e dialetto di Chioggia). Shun Li un giorno deve andare.

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Una scena del film

Se le speranze sembravano perse, un felice colpo di scena salva Li, che si sentiva già condannata a lavorare per sempre per ripagare il suo debito: un giorno, inaspettatamente, arriva il figlio. Qualcuno ha pagato per lei e non si tratta certo di un italiano, al quale non è concesso farlo (anche se tutti abbiamo pensato all’amico Bepi).
Bepi si trasferirà dal figlio a Mestre e morirà presto, malinconico, ma è anziano. Per questo non ci sono lacrime, solo il rimpianto di non aver potuto rivedere per l’ultima volta Shun Li, che in suo onore innalzerà una pira di fuoco bruciando il suo “casone” (la palafitta utilizzata come rimessa e riparo dai pescatori), che lo stesso Bepi le ha lasciato.
Tutto, qui, è unito dall’amore per la poesia, la vita e le piccole cose.
Film toccante e sincero, una favola tenera, dolce-amara che non lascia certo indifferenti.

Io sono Li, di Andrea Segre, con Zhao Tao, Rade Sherbedgia, Marco Paolini, Roberto Citran, Giuseppe Battiston, Giordano Bacci, Spartaco Mainardi, Zhong Cheng, Wang Yuan, Amleto Voltolina, Andrea Pennacchi, Guo Qiang Xu, Sara Perini, Federico Hu, Hi Zhijian, Ni Jamin, Francia-Italia 2011, 100 mn.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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