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La croce di Gesù porta scandalo. Per chi crede e per chi non crede. Uno scandalo è il sacrificio degli innocenti. È straordinariamente toccante e lungimirante il fatto che Papa Francesco abbia assegnato la meditazione sulla morte di Gesù, tredicesima stazione della Via Crucis del Venerdì Santo, a due donne, Albina, russa, e Irina, ucraina.

Due donne la cui amicizia non è un infingimento, non nasce come cortesia alla fantasia di un papà cattolico per guadagnare le prime pagine dei giornali, ma preesiste alla guerra e tutt’ora le unisce. Due operatrici sanitarie nello stesso Centro di cure palliative, quello gestito dalla Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma. Due donne, perciò, quotidianamente a contatto con la sofferenza umana del corpo e dello spirito. Due donne che condividono i gesti della cura e che reciprocamente si prendono cura l’una dell’altra resistendo eroicamente alla logica schiacciante della guerra che le vorrebbe nemiche.
Due donne che conservano la loro umanità e si riconoscono per ciò che sono; sì una russa e un’ucraina, ma anche infinite altre cose: un’infermiera e una studentessa, due figlie, forse due sorelle, forse due innamorate, e magari due persone che amano cantare, o cucinare, e che qualche volta si raccontano i loro sogni.

Sorprendente e scandaloso mi pare piuttosto che figure politiche abbiano l’ardire di mettere in discussione la scelta di Papa Francesco, fino a chiedere di ritirarla. Con quale diritto? Se giustamente teniamo alla laicità degli stati e ci sentiamo disturbati dalle intromissioni religiose sulle scelte politiche, lo stesso fastidio viviamo adesso, quando esponenti politici pretendono di dettare a una figura spirituale ciò che deve e non deve fare nelle sue celebrazioni. Soprattutto ora che la pretesa è di santificare una parte condannando l’altra alla dannazione e assorbendo nell’una e nell’altra tutto ciò che a ciascuna appartiene.
Il terreno del sacro è cosa altra, e non è il solo (davvero dovremmo disfarci di Cechov o di Dostoevskij per colpa di Putin?).

Fin dal momento in cui ha consacrato a Maria entrambi i Paesi, Francesco ha voluto indicare la strada opposta. Oggi, con questa Via Crucis, torna a farlo. La sua scelta non parifica l’aggressore e l’aggredito. Semmai riconosce pari dignità a tutte le vittime, che non sono da una parte sola. Potrei dire che non è un caso abbia scelto proprio due donne per fare questo: diversa è l’esperienza delle donne nella sofferenza e della cura, diversa è anche – per la massima parte – l’esperienza della guerra, e ciò che le donne evocano in chi guarda. C’erano, non a caso, due donne ai piedi della croce di Gesù.

Volendo parlare un linguaggio più terreno, Papa Francesco ha voluto riconoscere il valore dell’affetto tra Irina e Albina. È uno scandalo per il quale ringraziarlo: le mani delle vittime non sono insanguinate. Le donne russe che vedono i loro figli o i loro mariti costretti a partire per una guerra che non hanno scelto sono vittime quanto le donne ucraine, costrette a separarsi dai loro figli o dai loro mariti, che combattono, per mettersi al riparo con i bambini. Le loro mani non sono macchiate di sangue. Non portano la responsabilità di un attacco voluto da altri.

Se solo osiamo uscire dalla logica della guerra che semplifica e riduce la realtà allo scontro tra un “noi” e un “loro”, ci accorgiamo delle tante sofferenze che si stanno consumando in questo tempo. Soffrono i bambini russi in Italia se i compagni li additano come rappresentanti del loro paese aggressore. È vittima della guerra ogni amicizia e solidarietà interrotta anche nelle nostre città, tra le persone, le famiglie, le comunità russe e ucraine. Omettere la cura di questi legami per non tradire una qualche purezza della vittima non solo è falso ma è porre le basi per nuove violenze, nuove rivendicazioni.
Il bambino russo confuso con un aggressore che in nulla lo rappresenta o gli assomiglia è un bambino che, lasciato a se stesso, cercherà domani un riscatto, e nulla dice che lo farà nel modo più rispettoso di sé e degli altri.

Torniamo però al presente. Non è vero che i gesti di riconciliazione debbano attendere la fine delle ostilità, una fine assegnata a un tempo imprecisato nel quale qualcuno che ha iniziato l’orrore deciderà di concluderlo o sarà costretto a farlo, sulla base di convenienze che poco riguardano le persone comuni. È vero semmai che i facitori di pace possono iniziare subito, possono iniziare sempre. Così in Israele e Palestina dove da decenni associazioni miste collaborano per ridurre la violenza dell’occupazione e della guerra. Allo stesso modo in Russia e Ucraina occorre costruire la pace oggi.

Il sangue risparmiato è prezioso più del sangue versato. Non parla le parole della retorica ma quelle della vita. E mentre le diplomazie, gli eserciti, gli strateghi, i decisori politici non sanno farlo, è molto bene che incomincino dinanzi al mondo due donne, Irina e Albina, che ogni giorno condividono i gesti della cura per la sofferenza umana. Nulla vi è di più sacro, mentre altrove la vita umana si straccia.

Questo articolo è uscito ieri, 14 aprile, con altro titolo sul periodico Azione Nonviolenta 

In copertina: Pie donne al sepolcro, .XV Sec, Giuliano di Amadeo (Amadei, Giuliano). monaco camaldolese, pittore e miniatore.

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Elena Buccoliero


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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