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Una volta tanto in Italia siamo i primi, i più bravi, tanto che l’Ue ha emanato una direttiva per prescrivere a tutti i paesi membri di seguire il nostro esempio. E non è finita qui: vengono da diversi paesi anche fuori dall’Europa per studiare il nostro sistema e cercare modi di replicarlo. Di cosa stiamo parlando? Della giustizia minorile italiana. Forse l’unico settore del sistema giudiziario del nostro Paese nel quale l’obiettivo è rimasto quello sancito dai Padri Costituenti, che all’articolo 27 della Costituzione hanno scritto: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Ebbene: “l’unico processo che ci viene invidiato in tutto il mondo verrà probabilmente soppresso”. È l’allarme lanciato dal presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna Giuseppe Spadaro, intervenuto sabato mattina nella sala del Consiglio Comunale di Ferrara all’incontro ‘Quando i ragazzi sbagliano. L’attenzione dei media, la risposta educativa e giudiziaria’.
(Leggi l’articolo di Simona Gautieri)

Giuseppe-Spadaro
Giuseppe Spadaro

La sua non è affatto una difesa corporativa: entrato in magistratura nel 1990, prima di approdare a Bologna, ha esercitato per più di venti anni nel tribunale ordinario di Lamezia Terme, “poi ho avuto la fortuna di tuffarmi nella giustizia minorile”, dove “puoi realmente incidere”, ma proprio per questo “se sbagli i tuoi provvedimenti possono essere devastanti”. Così si è trasformato da fine giurista, esperto di tecnicismi, in un “giudice-uomo” che sbaglia, ma “sbagliamo perché ci proviamo”.
“Il processo penale minorile è connotato di una valenza educativa”, ha sottolineato Spadaro per far comprendere come la giustizia minorile non possa essere trattata, descritta, considerata come la giustizia degli adulti. Non è un caso che si chiamino tribunali per i minorenni: “il processo non è contro, ma per: per la persona che ci troviamo a giudicare e per la vittima”. “Siamo giudici della persona, non dei fatti”, questa secondo Spadaro è “la rivoluzione”: non valgono i tecnicismi e il distacco da fini giuristi, da principi del foro, ciò che serve è “l’equidistanza, che evoca il concetto di empatia”.

Nella giustizia minorile non ci si accontenta di fornire una risposta sanzionatoria “che a fronte di un errore commesso è imprescindibile, ma da sola non è sufficiente: deve essere accompagnata da un percorso, da occasioni di crescita, da un’opportunità di vita”. Da qui tutta una serie di strumenti extragiudiziari come la messa alla prova e la mediazione penale, strumenti che tra l’altro si sta pensando di utilizzare anche nella giustizia ordinaria. “Il confronto è un momento chiave per chi ha sbagliato e per chi ha subito: quest’ultimo ha l’occasione di dire in faccia al responsabile gli effetti devastanti delle sue azioni e il primo guarda in faccia la sofferenza umana che ha provocato. Di fronte a questo, non c’è pena che tenga”, afferma con forza Spadaro.
Tutto ciò rischia di essere cancellato a causa di “una riforma epocale”, attuata “nel silenzio quasi totale del dibattito pubblico”.

Nel 1908 l’allora Guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando dava disposizioni affinché fosse istituita la figura di un giudice specializzato per i minorenni, dando inizio all’esperienza della giustizia minorile italiana. Oggi un altro Orlando, che occupa la stessa posizione, dà il suo nome a una riforma che, per aumentare l’efficienza del sistema giudiziario, prevede la soppressione dei tribunali per i minorenni e delle procure presso i tribunali per i minorenni, a favore di sezioni specializzate presso i tribunali ordinari. È il ddl 2284, “Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile”: il provvedimento già approvato alla Camera è ora in discussione alla Commissione Giustizia del Senato.
La stessa riforma, spiega Spadaro, “l’aveva tentata a inizio 2000 il ministro-ingegnere del governo Berlusconi (Roberto Castelli, ministro della giustizia nei governi Berlusconi dal 2001 al 2006, ndr): allora ci furono le barricate, da parte di chi ora ne è fautore”.

Ciò che stupisce è che tale soppressione avvenga nonostante il riconoscimento, appena un mese fa, dei risultati ottenuti dalla giustizia minorile in Italia. Nel documento di sintesi della ‘Relazione del Ministero sull’amministrazione della giustizia anno 2016’, citato da Spadaro sabato mattina, si legge infatti: “Il consolidamento di una cultura che pone i diritti dei minori al centro di tutte le attività processuali che a vario titolo li vedono protagonisti, ha condotto ad eccellenti risultati, come dimostrato dalle recenti rilevazioni statistiche che indicano l’Italia come il Paese con il più basso tasso di delinquenza minorile rispetto agli altri paesi dell’UE ed agli Stati Uniti. Tale effetto è certamente da ricondursi all’efficacia sia programmi di prevenzione adottati, che delle misure trattamentali alternative alla detenzione”.

Spadaro è molto preoccupato, come del resto la quasi totalità degli attori della giustizia minorile – dall’Associazione italiana magistrati minori e famiglia all’Associazione nazionale magistrati, dall’Unione delle camere minorili all’Ordine degli assistenti sociali e degli psicologi, a tutte le maggiori sigle del Terzo Settore – della logica e del messaggio insiti in questo provvedimento: “la logica è spersonalizzare e mandare all’ordinario” e “il messaggio culturale è una visione adultocentrica”. Un aspetto condiviso nientemeno che da Gherardo Colombo: l’ex magistrato del pool di Mani Pulite, che da quando si è dimesso gira per l’Italia incontrando i ragazzi e parlando loro di giustizia e Costituzione. Riferendosi alla riforma Orlando, Colombo ha detto che renderà la giustizia minorile incapace di trattare bambini e adolescenti come tali, ma che li assimilerà agli adulti.
Questa riforma, per far fronte a esigenze organizzative tese a ripianare carenze di risorse negli uffici per gli adulti, rischia di ridurre drasticamente la specializzazione dei giudici chiamati a intervenire in materia civile, amministrativa e penale minorile. Con l’accorpamento ai tribunali ordinari, chiarisce Spadaro, “necessariamente non si potrà più garantire l’esclusività delle funzioni che mi consente di parlare con i servizi sociali come con i ragazzi imputati”: “quando sarò accorpato al tribunale ordinario di Bologna mi occuperò un po’ di più della chiamata del colonnello che mi dice “Guardi che c’è stato un omicidio”, piuttosto che della chiamata dell’assessore che mi segnala un caso di dispersione scolastica”. “Quello che cambierà – continua Spadaro – è l’approccio, l’atteggiamento, la mentalità dei magistrati che verranno accorpati: quando diventerò un giudice del tribunale di Bologna spero che il presidente del tribunale ordinario possa farmi fare solo questo, ma ho i miei dubbi e penso che farò qualcos’altro”. “E’ inevitabile perché le competenze del tribunale ordinario sono una miriade e le risorse e i mezzi e i carichi di lavoro sono tali da non consentire di occuparsi solo di minori: è così lineare questo discorso che non riesco a capire come possa sfuggire”, dice il magistrato amareggiato.

Non è che già ora le cose vadano poi così bene: il sistema di protezione dell’infanzia è duramente provato dai tagli alla spesa pubblica. In Emilia Romagna il tribunale per i minorenni di Bologna, l’unico per tutta la regione, deve operare con solo “il 60%” di copertura del fabbisogno di personale, mentre l’Ufficio di servizio sociale per i minorenni del capoluogo regionale a fronte di 3.115 ragazzi presi in carico (dei quali il 5% residenti a Ferrara e provincia) ha un organico composto da undici assistenti sociali e un solo educatore.
Spadaro ammette che esiste sia un problema di “frammentazione delle competenze” in materia di persona, famiglia e minorenni, sia un problema di distribuzione delle risorse, se “il tribunale per i minori dell’Emilia Romagna opera con sei magistrati e un presidente, per una popolazione di quasi cinque milioni di abitanti, a fronte di ventinove magistrati in Puglia”. Quindi ci sono “ragioni economiche sottostanti che sono vere e proprie ragioni”.

La soluzione giusta non è però il provvedimento che si sta discutendo alla Commissione giustizia del Senato. Quello che gli operatori e le associazioni che operano nella giustizia minorile propongono è un ‘tribunale della famiglia’, peraltro originariamente previsto nel testo della legge poi modificato: “un tribunale che si occupa di tutte le vicende della famiglia”, accorpando le competenze in capo ai tribunali per i minori per “concentrare l’attuale frammentazione che effettivamente arreca un danno” e avvicinarsi “all’utenza e all’avvocatura mandando un magistrato altamente specializzato nei centri maggiori, ridistribuendo così in maniera intelligente l’organico con un costo abbastanza contenuto”. Questa sarebbe una “vera riforma epocale” secondo Spadaro, che ribadisce infine: “quello che conta è mettere al centro non gli adulti, ma il minore, come noi siamo abituati a fare”.

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Federica Pezzoli

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