Skip to main content

 

In questi giorni, le studentesse e gli studenti italiani sono scesi in massa in molte piazze d’Italia. L’informazione ne ha dato conto come d’abitudine, ovvero senza sottolineare a sufficienza l’aspetto non routinario delle manifestazioni attuali, conseguente dall’autenticità esistenziale dei vissuti che ruotano attorno ai temi della protesta.

Tali temi, sostanzialmente, sono due: l’insoddisfazione per la ristrutturazione dell’esame di maturità appena scaturita dalle officine ministeriali; lo sgomento per la sorte di Lorenzo Parelli, deceduto per un “incidente” nel corso delle attività di alternanza scuola-lavoro, rese obbligatorie dalla famosa legge 107 del 2 luglio 2015 – meglio conosciuta come “La Buona Scuola” – e ora già ribattezzate ‘PCTO’ (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento).

Alla tragica vicenda di Lorenzo Parelli, tra l’altro, è stato dedicato anche un passaggio del secondo discorso d’insediamento di Sergio Mattarella“Mai più tragedie come quella del giovane Lorenzo Parelli, entrato in fabbrica per un progetto scuola-lavoro.”.

L’auspicio espresso dal Presidente non può che essere condiviso. Ma forse – per aspirare concretamente alla dignità – richiede un parallelo esame delle coscienze, già che il dramma di Parelli non nasce da un imprevedibile agguato del fato, ma da prevedibilissime – e da non pochi previste – concatenazioni di eventi.

Può essere utile, per esplorare più da vicino la questione, chiedersi quale sia il nesso che lega i due temi delle rivendicazioni studentesche di questi giorni: essi sono associati dalla mera coincidenza nell’attualità? O sotto tale coincidenza traspare un legame più essenziale?
Diciamo subito che propendiamo per questa seconda ipotesi.

Osserviamo, infatti, la concatenazione di eventi che ha portato alla tragedia di Parelli.

L’alternanza scuola-lavoro, istituita quando Mattarella era all’inizio del suo primo settennato, è nata come una delle periodiche operazioni di rifacimento delle facciate della scuola italiana che, da qualche decennio, hanno soppiantato le riforme strutturali nelle aspirazioni del legislatore.

In questa operazione, l’idea di fondo era quella di impreziosire il vetusto edificio della scuola superiore liceale con il fregio contemporaneo della connessione al mondo delle aziende e al mercato del lavoro [Qui] da non perdere!

All’esterno di questa narrazione, non sfuggivano però agli osservatori, né a una parte degli insegnanti, i rischi di un’operazione del genere avviata in un tessuto produttivo largamente incline allo sfruttamento dei lavoratori, senza limiti di sesso o di età [Qui] .

E, a proposito di sesso, non erano neanche ignoti i rischi della cosa in un Paese largamente incline alla molestia sessuale [Qui]. Dunque, in questo Paese non è il caso di promuovere attività di stage?

A seguito, evidentemente, delle manifestazioni studentesche in corso, sull’argomento ha sentito il dovere d’intervenire il Ministro Bianchi [Qui]. Eloquente il passaggio che estrapoliamo: “In tutti questi casi, comunque, voglio ribadirlo con forza, la presenza di uno studente in un ambiente lavorativo richiede non solo le stesse misure di garanzia e sicurezza che si applicano ai lavoratori, ma un sovrappiù di responsabilità da parte sia della scuola di appartenenza che di chi accoglie i nostri ragazzi.”

Ma la precondizione di ogni garanzia e sicurezza sta nel fatto che le attività proposte siano di tirocinio in senso autentico, il che – come ben sa chiunque ne abbia avuto esperienza – è possibile solo nel rispetto di almeno due requisiti:

  1. Ogni studente avviato allo stage deve predisporre, con l’aiuto di un tutor, un progetto di tirocinio, con una precisa scansione delle attività da realizzare e degli strumenti da utilizzare. Progetto che dovrà essere periodicamente analizzato e verificato, sempre grazie alla supervisione del tutor, fino alla conclusione e alla rendicontazione del progetto ;
  2. Ciò di cui al punto 1 richiede l’intervento di figure professionali competenti per lo svolgimento dei compiti tutoriali e in quantità sufficiente a determinare un rapporto numerico con i tirocinanti impegnati nei percorsi tale da garantire la supervisione adeguata delle attività di stage e, dunque, il loro puntuale controllo.

Naturalmente, nell’alternanza scuola-lavoro di norma non si verifica nulla di tutto questo.
Perché? Senz’altro perché si è trattato appunto di una riforma di facciata, nella quale il problema della realtà – ovvero della struttura necessaria a organizzare e gestire propriamente l’impresa vantata – non è stato nemmeno preso in considerazione.

Anzi, lungi dal porsi il problema di come potenziare e attrezzare la struttura in vista delle nuove esigenze, il provvedimento – come tutti quelli di questo genere – l’ha indebolita.

Infatti, l’onere di organizzare dal nulla un’impresa così complessa è stato semplicemente rigettato sulle scuole stesse, con il risultato di renderne ancora più instabile il già precario equilibrio.

Purtroppo, come detto, questa ipertrofia dell’ornamentale a spese dello strutturale è ormai una caratteristica di sistema, che purtroppo i collegi dei docenti hanno introiettato nella forma di una diligenza acritica, consentendogli di diventare prassi.

Ritroviamo tale caratteristica nella proliferazione di documenti ponderosissimi e magniloquenti, definiti con acronimi fantozziani, la cui compilazione assorbe energia del sistema senza nulla restituirgli.

L’abbiamo vista e la vediamo all’opera nella gestione della pandemia, nella quale la proliferazione di regole e di contrapposizioni assurde (distanze tra le “rime buccali”, rimodulazioni delle quarantene, etichettamento degli studenti non vaccinati, ecc.) appare un filone inesauribile,
Invece, di due semplici cose concrete che potevano e dovevano esser fatte da subito – come gli studenti in piazza hanno ricordato – non c’è nessunissima traccia: A ) riduzione del numero di studenti per classe B ) dotazione delle aule di sistemi tecnologici di aerazione e di altri strumenti utili. Certo, sarebbero costate un po’.

La troviamo ancora, ed eccoci al punto, nella nuova formula dell’esame di Stato. L’esigenza che evidentemente domina le scelte ministeriali, infatti, sembra essere quella del nutrire la narrazione del ‘ritorno alla normalità’, già da tempo prevalente su qualsiasi altra istanza, quando di normale nella quotidianità scolastica odierna non vi è nulla, come ben sa chi minimamente ne fa esperienza.

Che si tratti di questo, sembra dirlo con chiarezza il Ministro stesso nella lettera di cui sopra: “Ci sarà poi una seconda prova di indirizzo, formulata dalla commissione locale, composta da sei commissari interni e un presidente esterno, che, proprio perché preparata dai docenti di classe, potrà sicuramente tenere conto dei livelli educativi effettivamente raggiunti.”

Tradotto: Tranquilli, la seconda prova che tanto sembra preoccuparvi sarà à la carte.

È la Buona Maturità!

Ecco perché i temi che concorrono nel disagio studentesco di questo periodo hanno tra di loro un legame profondo, che discende dalla “logica” istituzionale sottesa a entrambi. Speriamo che le analogie si fermino qui e che non si prolunghino anche nel verificarsi di qualche conseguenza estrema, di qualche altra tragedia annunciata.

Speriamo che nessuna studentessa e nessuno studente scambino davvero per serietà la gravità istrionica di quest’esame. Certo, può succedere solo se lo si incontra nella nebbia, ma di nebbia questa generazione ne ha dovuta e ne deve attraversare tanta [Qui] .

Altrimenti, sarà l’occasione per un altro edificante “Mai più!”.

Cover: immagine proteste studentesche (fonte ufficio stampa studenti,it)

tag:

Alessandro Teja

Alessandro Teja è nato nella realtà ma è presto migrato nella fantasia, dove vive tuttora. Per questo ha deciso diversi anni fa di lavorare in un liceo: non deve allontanarsi molto da casa.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it