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Per capire il mondo e il suo universo avremmo bisogno di più scienza, ma non pare che la cultura della conoscenza si muova in questa direzione. Non ci inganni lo sviluppo delle nuove tecnologie, il mondo interconnesso, perché l’orizzonte scientifico è sempre più sfumato, implode l’eccesso di parole mentre la ragione sembra retrocedere dalla mente alla pancia.
È la cultura neoumanistica del pensiero veloce ma sempre più debole, sempre più affrettato che gioca a rimpiattino con la scienza e con la ragione. È la cultura della conversazione sui social network che si alimenta di un umanesimo straccione, di seconda e terza mano, che diffida dei vaccini, che fa del cancro una malattia psicologica, che considera l’HIV un’invenzione speculativa delle industrie farmaceutiche. Una cultura da letteratura, da narrazione d’appendice, da insufficienza mentale e vuoto scientifico.
Del resto siamo nel ventunesimo secolo e ancora non abbiamo risolto il problema della convivenza delle due culture, della cultura scientifica ed umanistica. Creazionismo ed evoluzionismo convivono come se l’uno non escludesse l’altro, come due possibili opzioni che non cambiano il paradigma del mondo, i modi di vivere e di guardare al presente come al futuro, si specula sui mercati, si fanno le guerre ma si crede in dio, meno probabile del fatto che il sole possa non sorgere.
Si fa appello all’etica, al dover essere ma non alla scienza, alla cultura scientifica della ragione e della consapevolezza, anzi si teme che la cultura scientifica possa attentare alla classicità della cultura umanistica, come se la nostra tradizione dovesse tutto ai poeti, ai santi e ai navigatori anziché alla ricerca scientifica e agli scienziati.
L’esperienza ha dimostrato, tanto negli Stati Uniti quanto nelle scuole moderne europee, come sia difficile porre lo studio della scienza sullo stesso piano dello studio della letteratura, dell’arte o della musica. D’altra parte è chiaro a tutti che dalle medie all’università lo studio della scienza e quello della letteratura non hanno sulla mente degli studenti lo stesso effetto.
È proprio questo effetto che si teme, che la scienza possa produrre menti libere, raziocinanti, meno disposte ai miti e alle illusioni. Le manipolazioni che possono produrre le suggestioni della cultura umanistica sono presto smontate dal rigore del pensiero scientifico. La cultura umanistica meglio si presta a un’idea di educazione che voglia forgiare le menti e le persone più che istruirle, renderle autonome, padrone dei processi mentali.
Crediamo di essere cresciuti nelle nostre conquiste democratiche, di essere liberi nell’esercizio dei nostri diritti, ma se le nostre menti non sono libere difficilmente sapremo da che parte sta la democrazia e fare un buon uso delle libertà conquistate.
È una questione di formazione delle generazioni, di partecipazione al patrimonio culturale e se in questo l’irrazionale continua a prevalere sul razionale gli strumenti della conoscenza e della cultura non saranno mai strumenti di liberà e di progresso, come infatti accade.
Basta guardare in casa nostra per scoprire come nel nostro sistema scolastico la scienza continui nella formazione dei nostri giovani a svolgere il ruolo della cenerentola.
Dalle scuole medie alle superiori nell’orario scolastico dei nostri studenti il rapporto tra materie scientifiche e tutte le altre sta mediamente in un rapporto di uno a cinque, un quinto dell’intero orario scolastico, per non parlare degli istituti professionali dove nell’ultimo triennio è uno a dieci, l’insegnamento delle scienze si riduce a due sole ore di matematica alla settimana.
Ciò che più inquieta è lo zelo con il quale il ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca si preoccupa di assicurare dall’eccesso di una eventuale formazione scientifica a scapito di quella umanistica. Basta leggere la presentazione che nel suo sito web il Miur fa del sistema dei licei, dove a proposito del liceo classico si ritiene necessario precisare che “il pensiero scientifico è collocato all’interno di una riflessione umanistica” come se di per sé fosse peccaminoso e per il liceo scientifico si informa che fornisce “una formazione culturale equilibrata nei due versanti umanistico e scientifico”.
La questione dell’educazione scientifica resta quanto mai aperta e soprattutto come potrebbe cambiare la nostra convivenza se anche chi non si dedica alla scienza potesse acquisire una migliore formazione e comprensione della scienza stessa.
Sarebbe come il passaggio dall’astronomia tolemaica a quella copernicana. Come ha scritto Thomas Kuhn, prima della rivoluzione copernicana, il Sole e la Luna erano pianeti, mentre la Terra no; dopo, La Terra era un pianeta, come Marte e Giove, il Sole era una stella e la Luna era un nuovo tipo di corpo, un satellite. Mutamenti simili cambierebbero il modo di percepire il mondo e le sfide che ogni giorno ci attendono.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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