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Abbiamo sostituito intelligente con smart. Ma smart più che intelligente è sveglio, furbo, semmai anche spiritoso. Qualità tutte belle. Avremmo però bisogno di tornare a usare l’intelligenza, perché, se la smart city non è anche una città intelligente dell’intelligenza dei suoi abitanti, di cablature, sensori e antenne wifi ce ne facciamo poco.
Nel 1980 meno del 30% della popolazione umana totale era urbanizzata, ora la popolazione mondiale che vive nelle città supera il 50% ed è destinata a diventare il 75% entro il 2025, una percentuale già raggiunta dalla maggior parte dei paesi sviluppati. Dopo 40 mila anni dalla comparsa della nostra specie, l’urbanizzazione definitiva dell’umanità sta avvenendo proprio ora. La città è, dunque, il fenomeno vero di questo millennio.

Un mondo interconnesso dove immigrazione, cambiamento climatico, trasformazione digitale, invecchiamento demografico dovranno trovare risposta nelle nostre città.
Una vita sostenibile è il compito della città, del luogo a noi più vicino, del luogo che ci contiene inglobando in sé i luoghi più lontani dell’immigrazione. Il pluralismo delle vite, delle esistenze, il pluralismo dei destini abita le città del terzo millennio, non c’è mondo, non c’è stato che lo possano governare, ma solo le città su cui apriamo le finestre delle nostre case tutte le mattine.
L’orizzonte dell’urbanizzazione non è più quello di ieri delle ciminiere e delle periferie, un urbanesimo non più spinto dall’industria, ma dai servizi. La città come il luogo dei servizi e delle infrastrutture, la città come luogo della qualità della vita delle persone. La qualità della nostra vita futura dipenderà in gran parte da come le città sapranno trasformarsi di fronte alle grandi sfide del nostro tempo.
Una città intelligente non perché a misura delle tecnologie, ma perché a misura dell’uomo. Una città dove è bello vivere, vivere con la propria famiglia, dove è bello lavorare, giocare con i propri figli, dove è bello studiare e fare sport, dove l’aria e gli spazi sono buoni, una città certo smart ma che richiede l’intelligenza della politica, una politica capace di immaginare, di essere lungimirante, una politica dalla parte dell’umanesimo, di un nuovo umanesimo che solo le città possono costruire: non urbanizzazione delle città ma umanizzazione della città.
Città che non smarriscano l’uomo e la vita, il piacere di vivere da cittadini in tanti, il piacere degli incontri e degli scambi, il piacere della sorpresa, della scoperta, della meraviglia.
Città che si presentano bene all’occhio di chi vi vive per accrescerne il desiderio d’abitarci, capaci di trattenere, di scoraggiare la fuga.

La città come organismo sociale che respira, con la sua identità, come corpo d’appartenenza che ha diligente cura di ognuna delle sue parti. Non città da classifica in gara per singoli indicatori, ma città che concentrano le loro energie dalla parte delle persone, dello loro diritto a vivere a lungo e felici, in ambienti sani e tutelati, in città sicure, tecnologiche, efficienti.
Una urbanizzazione che non è più l’urbanesimo dei tempi contingentati, con le giornate dove le ore erano scandite in maniera rigida tra lavoro, svago e riposo. Le nostre vite sono più libere, più dinamiche, più generose nell’uso di luoghi e nell’incontro di persone. Luoghi confortevoli, belli da abitare e da frequentare, occasioni di socializzazione ricche di opportunità, di scambi, di creatività, luoghi dove apprendere e fare cultura, capaci di offrire stimoli e produrre innovazione.
Non bastano una spruzzata di smart, neppure gli ICity Rate, né i target mondiali dello sviluppo sostenibile o essere più vicini ai bisogni dei cittadini. È il paradigma che deve cambiare.

Mentre si fa la gara per occupazione, crescita economica, cultura e istruzione, verde urbano, eccetera si perdono di vista le persone, quelle per cui si partecipa al gioco. Qualcuno dirà che senza gli ingredienti del gioco non c’è partita. È vero. Una città non è una città senza lavoro, studio, energia, qualità dell’acqua e dell’aria, turismo e mobilità sostenibile, legalità e sicurezza, crescita economica e gestione dei rifiuti, trasformazione digitale e ancora altro. È che non ci bastano più. È che nelle nostre città abbiamo necessità, come dell’aria che respiriamo, di sentirci sempre più cittadini, sempre più padroni di casa e sempre meno utenti, sempre meno ospiti di una amministrazione. Avremmo bisogno di sognare a casa nostra, e questa possibilità di sognare ci è stata tolta, ci è chiesto a casa nostra, nelle nostre città di dimenticarci di noi stessi, di non guardare lontano, di tenere gli occhi bassi, come se fossimo senza cuore e senza intelligenza. Pare che tutto ormai abbia un’unica direzione in cui non c’è spazio per un nuovo umanesimo e una nuova cittadinanza, mentre lo smart cresce muore l’intelligenza, proprio ora che le città tornano alla ribalta della storia.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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