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Pare che si considerino città della cultura quelle città che mettono sul mercato il loro patrimonio culturale, dai monumenti agli eventi, dai musei ai teatri. Ma non è detto che una città della cultura, capitale della cultura, sia anche una ‘città della conoscenza’.
In ogni città esistono cittadelle della conoscenza: le università, il sistema dei musei e delle biblioteche, le scuole, i conservatori, le accademie, le imprese, il mondo del lavoro, ma da qui a fare delle loro città delle città della conoscenza ne passa.
Perché manca la politica. Mancano le politiche, che anziché promuovere la città della cultura come fosse un prodotto confezionato da mettere sul mercato dell’economia turistica, come città vetrina, promuovano la città della conoscenza, ovvero della conoscenza diffusa, della conoscenza come investimento. In definitiva facciano della conoscenza il polo magnetico, capace di fornire energia vitale, non solo al sistema culturale e agli eventi, ma alle imprese, al mondo del lavoro e ai singoli cittadini.
Viviamo un’epoca in cui la cultura non può continuare ad essere coniugata al passato, perché abbiamo una enorme necessità di conoscenze come strumenti del pensiero per pensare.
La città della cultura è un libro che ognuno legge per sé, che non si tradurrà mai in conoscenza a vantaggio dello sviluppo e della crescita di una intera comunità, se non ha la forza di trasformarsi da cultura per pochi a crescita permanente della conoscenza per tutti.
Non è che le due cose si escludano. È che si può essere città della cultura, capitale europea della cultura e mancare della conoscenza. Cosa che non si può dire della città della conoscenza, a cui non mancherebbe il proprio patrimonio di cultura.
La città della cultura deve fare il salto di qualità e divenire compiutamente città della conoscenza; insomma, non si può continuare ad essere delle incompiute.
È ora che usciamo dalle nostre piccole miserie, dagli intrighi di bottega, dai respiri angusti.
Più che di idee innovative, abbiamo bisogno innanzitutto di un’idea nuova della città, perché la città è il nostro investimento sulle persone e sul futuro.
La buona amministrazione, se mai cercando la soddisfazione di questa o quella lobby, non è più sufficiente; il diffondersi sempre più della cultura del bene comune ne è la dimostrazione. Come è ormai da stupidi contendersi elettoralmente il governo della città, pensando che, una volta occupate le leve della gestione, la città sarà migliore di prima. Nessuna città sarà mai migliore se non sarà migliore a partire dai suoi abitanti, e se a loro non saranno state fornite tutte le opportunità possibili per essere migliori, in modo da poter disporre di intelligenze nuove e rinnovate.


Il Concetto di Città della Conoscenza. Fonte: Adattamento da Ergazakis et al., 2004

È ora che pratichiamo sguardi inediti per non ripeterci all’infinito passato. Sguardi che in tema di città della conoscenza poi tanto nuovi non sono.
Da oltre un ventennio esiste un’ampia letteratura mondiale in materia. Bisognerebbe studiare. Studiare è solitamente il modo per passare dalla cultura passiva a quella attiva, appunto, dalla cultura alla conoscenza.
Di solito si ’coltiva’ per raccogliere i frutti e di essi nutrirsi, e il frutto della cultura è la conoscenza che l’umanità da tempi immemorabili chiama ‘sapere’. Ci ha costruito sopra anche la storia dell’Eden e dei nostri progenitori.
Attualmente, la conoscenza è considerata una delle risorse più preziose, da gestire in modo efficiente ed efficace, così che ognuno ne possa ricavare il massimo profitto personale.
Per questo, oggi, sono tante le città a livello mondiale che rivendicano di essere città della conoscenza, mentre, nello stesso tempo, altre città stanno elaborando strategie e piani di azione per divenirlo.
Sarà la cultura della condivisione delle conoscenze a sconfiggere il sovranismo, come unico passaporto delle città per poter dialogare tra loro, sia nella rete europea che in quella mondiale.
Il concetto di città della conoscenza è molto ampio e si riferisce a tutti gli aspetti della vita sociale, economica e culturale di una città.
Si nutre della condivisione delle conoscenze tra cittadini, così come di un appropriato disegno di città, supportato dalle tecnologie dell’informazione, dai networks e dalle infrastrutture.
Di conseguenza, ogni sforzo per realizzare una città della conoscenza necessità della partecipazione attiva di tutte le componenti sociali, a partire dall’amministrazione locale, ai privati cittadini, alle organizzazioni, alle università.
Il punto di partenza però non può che essere una analisi approfondita della situazione da cui si muove, la definizione di una visione strategica e l’implementazione di un piano d’azione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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