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Solo il 9% delle classi delle nostre scuole ha una connessione internet. È il dato fornito dall’Ocse e recentemente rilanciato da Il Sole 24 ore. Nei Paesi con i migliori risultati nei test Ocse-Pisa, questa percentuale supera l’80%.
Il dato però merita di essere letto non solo dal punto di vista del gap tecnologico in quanto tale, ma piuttosto avendo l’occhio alla qualità e alla natura degli apprendimenti che il nostro sistema scolastico fornisce.
Innanzi tutto, i nostri ambienti di apprendimento non si dilatano, non superano i confini delle aule scolastiche e il grande mondo globale dell’informazione tecnologica ne resta escluso. Ciò che ha cambiato la mappa mondiale dell’istruzione, consentendo anche alle scuole più piccole e sperdute del mondo di accedere attraverso internet a numerose opportunità didattiche, nel nostro Paese è sacrificato alle lezioni frontali, al libro di testo, sorta di personal text, o al personal computer per usi che poco hanno a che vedere con l’istruzione.
Sorge il sospetto che il ritardo sia intenzionale, perché l’uso prevalente di internet a scuola potrebbe far scoprire a insegnanti ed alunni l’enorme quantità di materiale offerto loro da organizzazioni non governative, in particolare quelle per i diritti umani e a tutela dell’ambiente, curricoli che hanno come obiettivo la salute, la longevità e il benessere individuale, materiale che spesso entra in rotta di collisione con l’influenza esercitata dallo stato sulle sue scuole. Basterebbe consultare, solo a titolo di esempio tra i tanti, il sito web del programma ambientale delle Nazioni unite (United nations environment program), che offre agli studenti materiale per lavorare su temi come l’atmosfera, le risorse di acqua dolce, oceani, coste, terra, cibo, urbanizzazione, biodiversità, foreste e energia, oltre all’economia e allo studio delle popolazioni.
Queste organizzazioni mondiali offrono innovativi programmi scolastici secondo un approccio olistico, materiali didattici e libri elettronici da scaricare, ma se manca internet è difficile poter accedere alle loro risorse multimediali, per di più libere. L’idea di una scuola mondiale non è quella che tutte le scuole del mondo funzionino alla stessa maniera, ma che le scuole tra loro, da diverse parti del pianeta, possano comunicare, dialogare, essere i luoghi vivi di ricerche, sperimentazioni e rinnovamento pensati, condivisi, valutati su scala planetaria, creare coesione mondiale, perché questa è la carica rivoluzionaria di internet nella scuola, perciò non avere l’accesso a internet è come essere relegati nell’angustia del proprio mondo cattedra-centrico.
Si potrà forse obiettare che nell’uso delle tecnologie informatiche anche nel nostro Paese esistono esempi di buone pratiche. È il caso della “Classe capovolta. Innovare la didattica con la flipped classroom”, pubblicato da Erickson, in cui Maurizio Maglioni e Fabio Biscaro, insegnanti nelle scuole secondarie, raccontano quanto hanno direttamente sperimentato nel quotidiano delle loro classi.
Le opportunità offerte dall’uso delle nuove tecnologie vengono qui utilizzate, soprattutto attraverso la predisposizione di video, per ‘capovolgere l’insegnamento’ in modo che ogni studente a casa propria, collegandosi alla piattaforma della scuola, possa disporre del materiale per prepararsi ad affrontare la lezione del giorno dopo in classe. In questo modo ognuno apprende secondo i propri tempi e ritmi e può andare a scuola sapendo già quali domande porre all’insegnante in merito a quanto non ha compreso o che vorrebbe approfondire.
Non più lezioni ex cathedra, un modo per razionalizzare il tempo d’aula e utilizzarlo invece per rispondere alle domande degli alunni, per organizzare lavori di gruppo e per tante altre attività.
Trovo la cosa geniale dal punto di vista delle strategie didattiche, di come le Tic possano essere utilizzate per restituire centralità all’insegnamento, l’interesse ad apprendere, la mobilitazione della classe, ma mi sembra che l’obiettivo rimanga sostanzialmente angusto. La sostanza della scuola, dei suoi curricoli, del suo modo d’essere non cambia. È certamente lodevole questo tentativo di rendere più gradevole lo studio e le aule ai nostri giovani nativi digitali, ma, a mio avviso, molto distante dal cogliere le grandi opportunità dal punto di vista culturale, dal punto di vista della comprensione del mondo offerte dalla rete per quanti a scuola sanno usare internet per proiettarsi all’esterno, per aprire finestre verso nuove esperienze culturali, verso nuove sfide, per comunicare con gli altri. Perché soprattutto di tecnologie della ‘comunicazione’ si tratta, non per comunicare tra di noi, ma con il mondo intero, conoscerne i messaggi, le occasioni, le sfide, i drammi e le contraddizioni.
Nel secolo della comunicazione, nel pianeta attraversato da reti, fax, telefoni cellulari, modem e internet, l’incomprensione permane generale. È davvero paradossale. Il problema della comprensione è la grande sfida che può essere giocata attraverso tecnologie e reti della comunicazione, comunicare per comprendere, comprendere per comunicare. Questa è la prima finalità d’ogni istruzione. Non disporre degli accessi ad internet nelle nostre scuole significa forse sapere tutto il programma e il libro di testo per ogni disciplina, ma comporta il dover rinunciare ad apprendere come conoscere e comprendere il mondo.
Allora ciò che c’è da capovolgere non è solo la classe, va proprio ribaltato il sistema d’istruzione. E la rete è senz’altro lo strumento indispensabile affinché l’esterno divenga l’interno delle nostre classi e il dentro si faccia sempre più fuori.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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