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Inevitabile che a colpire sia stato il razzismo nella condotta del maestro di Foligno. L’immagine dell’alunno messo in un angolo, con le spalle alla classe, perché brutto e nero, è così violenta e folle da precludere ogni altra riflessione.
Eppure potrebbe essere che più di un razzista si tratti di un insegnante sprovveduto, pressapochista e improvvisatore, privo di cultura e di mestiere come può accadere che ne entrino nelle nostre scuole.
Avessero letto insieme “La sentinella”, il racconto di una sola paginetta di Fredric Brown, o “Spaghetti per due” di Federica de Cesco, ce ne sarebbe stato per ragionare, discutere e anche fantasticare.
A fornirgli una lezione hanno comunque provveduto i suoi alunni, dimostrando di essere di gran lunga più adulti di lui, nel senso etimologico del termine di più cresciuti, e di non aver alcun bisogno del suo “esperimento sociale” per essere vaccinati contro le discriminazioni.
Ora, pare che i terrapiattisti, quelli che sostengono di avere prove inconfutabili che il pianeta sia un disco piatto, stiano sempre più moltiplicandosi, potrebbe, quindi, accadere di trovarci di fronte ad insegnanti che entreranno nelle classi dei nostri ragazzi spiegando loro che la Terra è piatta.
Allora, oltre a scandalizzarci per il razzismo, presunto o meno, del maestro di Foligno, dovremmo seriamente interrogarci intorno alle nostre trascuratezze.
Per quali ragioni episodi simili possono accadere nelle nostre scuole che dovrebbero essere i luoghi protetti per eccellenza da simili evenienze e in cui la responsabilità di ciò che accade non può essere solo addebitata ad un singolo ma al sistema nel suo insieme.
Immaginate che un medico precario venga assunto per sostituire un collega in malattia e che per verificare l’efficacia di un farmaco si metta ad iniettarlo ai pazienti, di sua iniziativa, senza che questo sia previsto dai protocolli di cura.
Difficile che accada, voi direte, senz’altro prima c’è un insieme di controlli previsti dal sistema: disposizioni, infermieri, medici.
Ora sostituite il medico con l’insegnante di Foligno e il farmaco con l’esperimento sociale che avrebbe preteso di compiere.
La domanda che sorge spontanea immediatamente è se la scuola è un ambiente meno importante di un ospedale, tale da non prevedere protezioni, garanzie contro le libere improvvisazioni da parte di chiunque.
L’azione compiuta dal maestro nei confronti dei bimbi di colore è equiparabile a un farmaco tossico e velenoso? Certo. E non sappiamo quanto gli anticorpi della classe possano curare i danni di quella somministrazione.
Il farmaco iniettato dal maestro non voleva curare, voleva annullare, sopprimere l’identità dei bimbi nigeriani. Chiunque abbia un minimo di familiarità con i principi della comunicazione sa che tutto è tollerabile, compreso il conflitto di idee, l’ostracismo per le tue opinioni, tranne la negazione della propria identità che equivale a negare la tua esistenza, il tuo diritto di esistere.
Io non so se il collegio dei docenti della scuola di Foligno si è mai interrogato intorno a questo tema e ai pericoli connessi, se mai ci ha dedicato tempo, se mai ha avvertito la responsabilità di aver a che fare con quella parte di umanità più fragile, più delicata, da proteggere con ogni scrupolo e rigore professionale, o piuttosto, come spesso accade nelle nostre scuole, le routine didattiche hanno preso il sopravvento sulla riflessione.
Ho aperto la pagina web della scuola di Foligno alla ricerca di informazioni, per tentare di capire. L’identità della scuola si presenta con il Piano dell’offerta formativa triennale.
Una scuola impegnata nell’integrazione e nella valorizzazione delle diversità, ragione di più perché il comportamento di quell’insegnante apparisse agli alunni intollerabile, evidentemente perché in contrasto con il clima complessivo della loro scuola e con gli insegnamenti che lì hanno appreso.
Nel piano si legge che per l’Attività alternativa all’insegnamento della religione cattolica viene nominato un apposito docente. E tale è il maestro in questione, insegnante da dieci anni, quarantenne, e ancora precario.
Questo insegnante al momento dell’incarico avrà letto con attenzione il Piano dell’offerta formativa triennale della scuola? Temo proprio di no. La scuola si è preoccupata di accertarsi che l’insegnante prima di prendere servizio conoscesse questo documento? Anche qui sospetto che difficilmente sia accaduto.
Nel sito online non si trova traccia di programmazioni né per discipline né per l’Attività alternativa alla religione cattolica.
Certo è che l’Attività alternativa alla religione cattolica, come tutte le materie, deve avere una sua programmazione approvata dal collegio dei docenti e presentata ai genitori a inizio dell’anno scolastico. A quella programmazione l’insegnante avrebbe dovuto attenersi e quello che il docente pretende come “esperimento sociale” di quella programmazione avrebbe dovuto essere parte.
L’impressione è che il copione non sia stato questo e che come spesso accade nelle nostre scuole la recita sia stata a soggetto, prodotto di improvvisazione, di insipienza e di assenza di professionalità da parte del supplente come da parte della scuola nel suo insieme.
E questo è quello che preoccupa maggiormente: la condizione in cui versa il nostro sistema formativo lasciato all’improvvisazione, alla declinazione delle responsabilità, alla carenza di professionalità, al caso che ti può fare incontrare bravissimi docenti come mediocrità inquietanti.
Forse è opportuno interrogarsi se il crescere dei conflitti tra genitori e insegnanti, più che l’espressione di una cultura che cambia, non siano piuttosto l’esito di una scuola che professionalmente va drammaticamente perdendo la faccia, a danno anche dei tanti che con grande competenza dall’interno tentano ancora di disegnarne un volto rassicurante.

in copertina elaborazione grafica di Carlo Tassi

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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