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Sembra che abbiamo rinunciato all’uomo. Non ci sono più uomini nuovi all’orizzonte. Tramontati quelli di ispirazione marxiana e i cristiani di Paolo di Tarso, il nostro futuro promette ominazioni per clonazione e la robotica dal volto umano. Ma l’uomo come orizzonte è scomparso insieme alle utopie per lasciare spazio alle distopie delle war stars.
Non sappiamo più allevare, non sappiamo più crescere, le culle sono vuote perché preferiamo tenerci distanti da queste incombenze.
I giovani si ribellano ai loro formatori e gli educatori, genitori e insegnanti, tra loro si fanno battaglia. L’educazione è divenuto un recinto in cui le individualità ci stanno troppo strette e sempre meno sono coloro disposti ad essere piegati, a farsi plasmare. Neppure l’educazione come partecipazione alla cultura della propria comunità funziona più. Si tenta di intervenire sugli attori: studenti, insegnanti, genitori, senza rendersi conto che il copione è cambiato, ma quello nuovo non è ancora stato scritto. Non sono ancora trascorse sufficienti stagioni per poterlo riscrivere.
Sembra quasi che manchi una vita migliore da desiderare, che la storia debba proseguire senza “storia”, una registrazione notarile di esistenze senza una vita da vivere.
Chi ha compiuto il furto dell’uomo, chi ha sottratto l’uomo a se stesso? Ridateci il disegno di un futuro da desiderare, perché noi non sappiamo più dipingerlo.
Cultura, saperi e conoscenza vanno ripresi in mano perché abbiamo bisogno di tornare a narrare, di imparare a narrare la narrazione ai giovani che devono continuare a scriverla. Qui più nessuno narra e più nessuno scrive. I fari sulla scena collettiva si sono spenti, a fare gli attori sul palcoscenico della vita siamo rimasti soli.
Abbiamo dimenticato l’anima, non quella da dare a dio, ma quella dovuta agli uomini, a quelli come noi, ai nostri simili. L’anima che anima lo stare insieme, il condividere, la lotta per un progetto, l’impegno per un avvenire.
Individualità a contratto per un mondo senza visioni perché non abbiamo una visione del mondo. Non ci restava che contrattare il futuro, perché improvvisamente ci siamo resi conto di vivere senza futuro, senza le idee, i saperi, le conoscenze, le ricerche, l’impegno necessari a poter immaginare e crescere un futuro. Ed allora finisce che il futuro si contratta ad un tavolo di governo e si vota in rete.
Siamo rimasti soli con l’autosufficienza della nostra ignoranza. Non abbiamo coltivato la persona, non abbiamo nutrito la cittadinanza con la cura dei saperi necessari a crescere generazioni colte, consapevoli, capaci di maturare nel difficile percorso dello stare insieme, soprattutto quando nuovi compagni di viaggio, sconosciuti, venuti da un altrove, chiedono di affiancarsi al nostro cammino. Nell’ignoranza le culture si temono e diffidano l’una dell’altra.
Si può rinascere dal basso se abbiamo l’idea di un uomo nuovo che non è quello che ora siamo, ma che potremmo essere. “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”, scriveva Salvatore Quasimodo, il problema è ancora qui, e si misura nei passi che abbiamo compiuto nella nostra umanizzazione. È questa la sfida e la scommessa che rimangono aperte.
Dov’è il testimone della nostra vita, del nostro essere umani da lasciare ai giovani, da trasmettere alle nuove generazioni? Non è che non sappiamo, è proprio che non ce l’abbiamo. E allora perché stupirsi che il nostro sistema di formazione non funziona più. Gli manca il modello a cui aspirare, il testimone da imitare.
Il futuro non fa paura se il futuro ritorna a promettere. Ma la promessa bisogna costruirla e non può che essere la promessa della civiltà dello stare e del crescere insieme in una società e in un mondo aperti. Prendersi cura del crescere e dello stare insieme come condizione per disegnare orizzonti e futuri per cui valga la pena di vivere. È questo l’uomo nuovo di una nuova umanizzazione, l’uomo che si fa umanità con i suoi simili per vivere insieme quest’unica e comune avventura terrena. Le politiche per la natalità stanno tutte qui, in un futuro di cui non si abbia timore ma per il quale valga la pena crescere e impegnarsi.
È un problema che passa attraverso la rifondazione delle nostre scuole capaci di restituire l’uomo intero a se stesso, aprirlo alla cultura della umanizzazione per umanizzare la narrazione della vita.
Si può rinascere dal basso perché niente meglio delle nostre città può divenire la culla capace di crescere ed allevare con cura l’uomo nuovo di un nuovo orizzonte umano.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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