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Lanciare il cuore oltre la siepe non usa più. Forse non abbiamo più un cuore in grado di essere lanciato e non ci sono più siepi che valga la pena scavalcare. Siamo tutti dei burocrati del quotidiano, con i piedi ben piantati per terra, notai dell’esistente. I circospetti della vita, sacerdoti dell’aurea mediocritas. Il massimo è inventare un’app, far partire una start up.
Entusiasmarsi, innamorarsi delle idee, avere prospettive, avere visioni, apparire alla madonna, come scriveva Carmelo Bene, sono tutte cose rischiose per i manager della noia. Meglio inventare l’usato che rischiare il nuovo.
Così ci teniamo i nostri recinti, le nostre certezze, il nostro rovistare nei cassetti delle solite cose. I cassetti già riempiti e ordinati che forniamo alle nuove generazioni perché si abituino a fare come noi, come prima di noi gli altri, perché è sempre l’esperienza del passato a insegnare, perché si sa che il futuro non ha esperienza. È la cecità di Saramago che ci perseguita, ma sebbene lui ce l’abbia descritta non abbiamo ancora imparato a vedere. Tutto è indifferente finché il futuro non si fa presente.
Abbiamo bisogno urgente della terapia dell’utopia, abbiamo bisogno di città capaci di aprire fabbriche di idee e di occupare le piazze con i tavoli delle idee, di vincere il privato con il sociale, che nessuno sia privato della collettività, degli altri, dei loro pensieri e delle loro creatività. Senza prospettiva non si costruisce né si inventa e nemmeno si ha il diritto di mettere le mani in avanti verso il futuro. Senza utopia concreta si vede solo nebbia. Non possiamo essere ciechi di fronte alla necessità di una visione del futuro.
L’obiettivo principale, come scriveva Michel Foucault, non è di scoprire cosa siamo, ma piuttosto di rifiutare quello che siamo per poter immaginare e costruire ciò che potremmo diventare. Imitare i pensieri che possono venire in mente a un cervello creativo, ecco quello che dovremmo fare. La nostra patria è il futuro, è questa carenza di spinta al futuro che ci affligge e ciò non potrà mai rendere migliori i passati che i futuri inevitabilmente diventeranno.
Intanto noi continuiamo a insegnare, a chi vivrà il futuro più di noi, il passato anziché il futuro e certo questo non potrà garantire futuri e passati migliori.
Il “non ancora”, sognare e avere nostalgia del “non ancora”. Dove sono i nostri “non ancora”, la capacità di sognare il futuro dei nostri figli? I “non ancora” che colpevolmente mancano, di cui portiamo la responsabilità, l’incapacità di costruire i progetti di vita, quei progetti di vita che non abitano le nostre scuole e le nostre istituzioni, che anzi li mortificano.
La vita non basta, la vita non ci basta più. Il respiro della vita è sempre verso il lontano, si nutre del vicino per andare lontano, se non ci fate andare lontano con le idee, il pensiero, l’invenzione, l’immaginazione, la creatività finirete per ucciderci. Non il lontano delle finzioni, ma il lontano degli obiettivi da conquistare, per crescere, per continuare a immaginare il lontano da raggiungere.
È questo che non sappiamo insegnare, è questo che non sappiamo far imparare ad apprendere ai nostri giovani chiusi sul presente delle nostre aule, chiusi al futuro che è l’unico che ci sa attendere.
Abitiamo cittadinanze che non sanno reinventarsi nell’ozio delle teste che non sono mai ben fatte e neppure ci proviamo a pensare come potrebbero essere fatte. È il nostro cancro moderno, il peggiore da sconfiggere, quello senza ricerca per guarire.
Le uniche luci che si accendono sono quelle delle strade nel buio delle nostre notti spente alle luci umane sospettosamente spiate dai led delle nostre tecnologie.
Mentre cresce la solitudine digitale, sempre più quella sociale reclama d’essere sconfitta. Reclama di colmare i vuoti, di scrivere negli spazi bianchi, di liberare le potenzialità individuali e collettive.
C’è chi vive con lo shock del futuro, sono i tanti mestatori di paure, i sequestratori dei pensieri e delle idee. Sono i nemici dell’utopia, quelli che non saprebbero come sopravvivere alla collisione con il domani. Se non avessimo da sempre pensato ai futuri possibili, l’umanità non avrebbe mai conosciuto il progresso. Ora la sfida che abbiamo di fronte è però quella di lavorare per i futuri preferibili, rispetto ai futuri probabili.
Non c’è niente di peggio che viaggiare soli con la propria ombra perché porta a dimenticare la meta e dimenticare la meta, come sottolineava Nietzsche, è la stupidaggine più frequente che si possa fare. Noi è questa stupidaggine che stiamo commettendo.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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