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È dal 2004 che l’amministrazione della città di Cork organizza il ‘learning festival’ per promuovere l’apprendimento fra i suoi cittadini. Cork è una città dell’Irlanda, seconda come densità demografica dopo Dublino. Come tante altre città nel mondo, Cork nello scorso mese di marzo, dal 23 al 29, ha celebrato il suo dodicesimo festival dell’apprendimento.
Cittadini, istituzioni, associazioni e organizzazioni hanno promosso eventi, hanno aperto i loro spazi per offrire alla gente un saggio di tutte le opportunità di apprendimento disponibili in città. Per una settimana l’apprendimento si è presentato al pubblico con spettacoli gratuiti, dibattiti, sessioni di prova, visite guidate, mostre e dimostrazioni. Centri per le famiglie, comunità, biblioteche, teatri, musei, parchi, campi sportivi, scuole e università i luoghi coinvolti. ‘Indaga, partecipa, celebra l’apprendimento’, il motto del festival di quest’anno, che come sempre si propone di motivare i cittadini di ogni età, con capacità e interessi molto diversi, a condividere le proprie competenze e ad acquisirne di nuove.
Ritorno sul tema delle città che apprendono, conosciute nel mondo come ‘learning cities’, un po’ perché è la ragione sociale di questa rubrica, un po’ perché pare che ci siano argomenti che il nostro Paese continua a ignorare, con un’afasia culturale che fa dubitare seriamente della nostra capacità di guardare alle incognite del futuro.
Il tema della conoscenza nel nostro Paese è così settorializzato, frantumato che si fatica ad assumere l’idea che l’interazione tra i luoghi del sapere, la loro cura e diffusione, nei fatti, non fa altro che tessere quel grande territorio e contenitore entro il quale si svolge l’istruzione permanente di ognuno di noi. Di conseguenza i temi della tutela e valorizzazione dei beni culturali, della scuola e dell’università non vengono pensati e considerati dalla politica come tra loro interdipendenti, come un unico discorso a vantaggio della comunità e dei singoli cittadini. Si continuano a praticare politiche settoriali, a se stanti; i beni culturali in funzione del turismo, la scuola per i giovani, l’università per l’istruzione terziaria, rinunciando ad avere una visone di insieme e, quindi, un progetto di più largo respiro. Si perde regolarmente di vista la comunità che siamo, la possibilità di una più ampia fruizione di saperi, conoscenze e informazioni come risorse che devono essere fatte circolare, messe a disposizioni di tutti, per la crescita economica, sociale, culturale di tutti e di ciascuno. I mezzi ci sono, per questo è nata la rete mondiale delle “Città che apprendono”, patrocinata dall’Unesco.
Argomento questo che ha poca pubblicità nel nostro Paese, sempre impegnato ad occuparsi d’altro. Così, importanti documenti internazionali come la Dichiarazione di Pechino proprio non girano e solo pochi ostinati topi frugatori della città della conoscenza, come il sottoscritto, sanno che esistono in rete, solo in lingua inglese, mai tradotti in italiano.
Guarda caso, l’amministrazione municipale della città di Cork ha istituito un gruppo direttivo per sfruttare il successo del festival e far avanzare gli obiettivi della Dichiarazione di Pechino 2014 sulle città che apprendono.
In quella dichiarazione, uscita dai partecipanti alla Conferenza internazionale sulle città che apprendono, organizzata dall’Unesco, dal ministero della Pubblica istruzione della Cina e dal governo municipale di Pechino, c’è scritto ad esempio: “[…]dobbiamo sforzarci di dare a tutti i cittadini l’accesso e incoraggiare l’uso di una vasta gamma di opportunità di apprendimento per tutta la vita. […] Sappiamo che le città svolgono un ruolo significativo nel promuovere l’inclusione sociale, la crescita economica, la sicurezza pubblica e la tutela dell’ambiente. Pertanto, le città dovrebbero essere architetti e esecutori di strategie che favoriscono l’apprendimento permanente e lo sviluppo sostenibile.” Il testo è piuttosto ampio e merita di essere conosciuto, è facilmente reperibile nel sito dell’Unesco.
Le città sono i principali motori della crescita economica nel mondo moderno, e l’apprendimento è uno dei combustibili più importanti di tale crescita. In riconoscimento di questo, molte comunità urbane stanno sviluppando strategie innovative che permettono ai loro cittadini – giovani e vecchi – di apprendere nuove abilità e competenze nel corso della vita, trasformando così le loro città in ‘città che apprendono’. L’idea di imparare per tutta la vita è antica; è sempre stata una caratteristica essenziale di sopravvivenza dell’umanità ed è profondamente radicata in tutte le culture.
Costruire strategie di apprendimento permanente per una società dell’apprendimento dovrebbe partire dalle politiche del governo nazionale, ma il nostro, al momento, è occupato in tutt’altre faccende. La riflessione, comunque, merita d’essere compiuta, almeno per considerare ed essere consapevoli dei ritardi che abbiamo accumulato, dei treni che stiamo perdendo, delle prospettive che avremmo potuto curare. Questo, e tanto altro, è ciò di cui ci hanno defraudato i governi del nostro Paese.
Tuttavia, noi sappiamo che un cambiamento per essere duraturo richiede radici profonde a livello locale. Una società che apprende può e deve essere costruita città per città, comunità per comunità.
La Dichiarazione di Pechino, sulla costruzione delle Learning cities, è chiara. Definisce una città che apprende come una città che mobilita in modo efficace le proprie risorse per promuovere l’apprendimento inclusivo da quello di base agli studi universitari, per rivitalizzare l’apprendimento nelle famiglie e nelle comunità, per facilitare l’apprendimento sui luoghi di lavoro. Inoltre mette a disposizione di tutti i suoi cittadini le più moderne tecnologie per l’informazione e la conoscenza, è impegnata a migliorare la qualità e l’eccellenza dell’apprendimento a tutti i livelli, a coltivare una cultura dell’apprendimento per tutta la vita.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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