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Forse le pubblicazioni dell’Unesco non incontrano appassionati lettori nel nostro paese. Forse nemmeno tra gli addetti ai lavori, a cui non nuocerebbe prenderle in mano e provare a leggerle. Si potrebbe imparare qualcosa di più in materia di lifelong learning e di learning cities, di istruzione permanente e di città che apprendono. Conoscere le sedici città, sparse per i continenti, che nel 2017 hanno vinto il Learning City Award dell’Unesco, che si aggiungono alle dodici già premiate nel 2015.
Sono città che coprono tutta la geografia del mondo. Hanno posto al centro delle loro politiche amministrative un impegno particolare per promuovere un’alta qualità dell’istruzione dalle scuole di base alle università, migliorare qualità e eccellenza nell’apprendimento, facilitare gli apprendimenti, in particolare nei luoghi di lavoro, estendere l’uso delle moderne tecnologie per l’apprendimento, coltivare una cultura dell’apprendimento per tutta la vita.
Tutti elementi essenziali alla crescita e alla partecipazione dei cittadini, per combattere i populismi e i sovranismi senza prospettive, per fornire ai cittadini non la demagogia, ma i mezzi per esercitare la propria cittadinanza in modo sempre più partecipe, consapevole e responsabile.
Bristol ha dichiarato il 2016 “anno dell’apprendimento” e ha lanciato una campagna a livello cittadino che ha chiamato “il piacere dell’apprendimento”. Câmara de Lobos, in Portogallo, ha posto grande enfasi sul miglioramento della vita degli anziani istituendo l’Universidade Sénior. Contagem, in Brasile, promuove la cooperazione tra amministrazione e cittadini per sviluppare opportunità di apprendimento mirate. In Germania, a Gelsenkirchen, quaranta partner della città hanno sottoscritto il piano per promuovere l’apprendimento nella città. Giza, in Egitto, ha investito sul miglioramento dell’alfabetizzazione e sul fornire ai suoi cittadini incentivi per impegnarsi in opportunità di alfabetizzazione che includono istruzione gratuita e assistenza sanitaria. Hangzhou, una delle prime città che apprendono in Cina, ha istituito un centro di ricerca per l’apprendimento permanente per valutare l’impegno dell’amministrazione cittadina nel costruire a città che apprende.

Per migliorare il dialogo e la cooperazione tra le parti interessate, nel 2015 la città di Larissa, in Grecia, ha lanciato la conferenza annuale sull’apprendimento della città, da allora i soggetti interessati a livello locale, nazionale e internazionali si sono incontrati per discutere delle iniziative di una città che apprende.
Come parte del suo sviluppo di città che apprende, Limerick, in Irlanda, dal 2011 ha creato il festival annuale dell’apprendimento permanente, passando negli anni da 70 a 250 eventi gratuiti, che consentono alle persone di conoscere e di sperimentare le opportunità di apprendimento della città.
Mayo-Báleo è in Cameroon, qui l’approccio alla città che apprende è relativamente nuovo, e l’enfasi è stata posta sul coinvolgimento dei cittadini e sull’istituzione di comitati di coordinamento locali per promuovere dal basso idee, soluzioni e progetti educativi. In Giappone, nella città di Okayama si guarda alla realizzazione degli obiettivi per uno sviluppo sostenibile e ai centri di apprendimento permanente della comunità, con strumenti per monitorare e per misurare i risultati di tali attività. Per promuovere ulteriormente lo sviluppo della città, a Pécs, in Ungheria, hanno istituito un forum che serve da piattaforma agli esperti come a tutti i cittadini.
Surabaya, in Indonesia, ha promosso l’”approccio elicoidale”, che include il coinvolgimento di tutte le parti interessate per garantire che gli sforzi messi in atto per promuovere le opportunità di apprendimento siano rispondenti agli interessi prioritari delle persone.
Nella Repubblica di Corea, a Suwon, una città che apprende di lunga esperienza, coltivano una cultura dell’apprendimento permanente guidata dai cittadini. La città ha creato spazi aperti un po’ ovunque, che consentono alle persone di imparare o di insegnare liberamente agli altri.
A Tunisi hanno istituito uno staff tecnico-amministrativo e meccanismi di finanziamento per sostenere le iniziative della città che apprende. Infine, Villa María, in Argentina, ha implementato una biblioteca mobile e ha trasformato le carrozze ferroviarie in disuso in spazi culturali e di apprendimento.
Forse noi che abbiamo nidi, scuole dell’infanzia, licei e istituti superiori, università, biblioteche e musei, mostre ed eventi di richiamo crediamo di non avere da dare più niente in termini di politiche per l’istruzione e la cultura delle persone. Forse riteniamo che l’istruzione per tutto l’arco della vita non sia competenza degli assessorati all’istruzione delle nostre città. Pensiamo ancora che l’istruzione appartenga alla sfera privata dei cittadini e non riguardi la qualità della vita di una città e dei suoi abitanti.
Viviamo come se la società della conoscenza fosse un’invenzione, una categoria dello spirito, qualcosa che non ci riguarda da vicino, che non impegna pensiero, idee, creatività, visioni e politiche nuove.
Fingiamo di non accorgerci che ogni giorno che passa i saperi ci mancano, vengono meno, che la nostra crisi è una continua erosione di saperi, che ci mancano i saperi per il nuovo, l’inatteso, l’inaspettato. La città che apprende è questa, insaziabile nel suo bisogno di sapere, di conoscere, di avere strumenti nuovi per aprirsi al nuovo, anziché rinchiudersi nelle proprie mura medioevali.
Ecco, le nostre opportunità di istruzione sono ancora a meno della metà, manca il resto della vita. Forse è il caso che i responsabili delle politiche dell’istruzione a livello locale inizino a darsi una mossa, incominciando a pensare cosa c’è di nuovo da fare.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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