Skip to main content

Ora che il governo con la riforma della scuola ha condotto in porto quello che ci hanno dettato l’Europa e la Bce (ricordate la lettera del 5 agosto del 2011?), ebbene ora sarebbe più che opportuno avviare una fase seria di riflessione sull’istruzione nel nostro Paese. Fermarsi, soddisfatti o no, sarebbe l’errore più grave. L’istruzione non è questione che si risolve con i decreti legge (per lo meno questo ci insegna la storia della scuola qui da noi), l’istruzione è un cantiere aperto di ricerca quotidiana a partire dai luoghi in cui si apprende, fino a dotarsi di strumenti che consentano di continuare a ragionare in profondità sui temi dell’educazione.
In questo senso, istituire una commissione permanente di esperti al lavoro su istruzione, saperi e apprendimento continuo sarebbe davvero un segno di civiltà dato dalla politica. Se solo prendessimo per buono l’interrogativo di Hans Jonas, “quale pianeta lasceremo ai nostri figli?” e quello di Jorge Semprùn “a quali figli lasceremo il mondo?” e cercassimo le risposte chiamando in causa la nostra responsabilità nei confronti di quel prossimo che sono le generazioni future, gli insegnamenti e l’educazione che fin d’ora dovremmo mettere in campo. Queste sono esattamente le premesse da cui Edgar Morin fa discendere la necessità di una riforma profonda dell’educazione fondata sulla sua missione essenziale: insegnare a vivere.

isegnare-vivere-edgar-morin
La copertina del libro

Forse “Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione” di Edgar Morin è uscito in Italia troppo tardi perché fosse possibile sostare un attimo a leggere e a riflettere, considerato, come ci richiama l’autore, che “Tutto ciò che non si rigenera degenera”. Insegnare a vivere è diverso dal formare “la persona e il cittadino”, finalità che è in capo alle Indicazioni nazionali del nostro sistema scolastico, e non è che l’una escluda l’altra cosa. Ma si converrà che il centro muta sensibilmente. Si colloca all’interno di una riflessione che non è solo dell’antropologo francese, ma comune a quanti in diverse parti del mondo, da tempo, ragionano di istruzione e della sua rifondazione, spostando l’accento da una formazione ancora concepita per integrare gli individui nel sistema degli stati-nazione, alle aspirazioni, ormai più che mature in questo scorcio di 21esimo secolo, al benessere (o all’essere bene), alla felicità, alla realizzazione personale, fino all’impegno sociale.

Rimando, per quanti fossero interessati, alla lettura dell’ultimo lavoro di Morin che completa la trilogia iniziata con “La testa ben fatta” e “I sette saperi necessari all’educazione del futuro”, ma qui mi interessa richiamare brevemente i titoli in cui si articolano i capitoli del contributo del nostro autore, perché da soli promettono un fertile percorso di ripensamento radicale del nostro modo di intendere la scuola: Vivere, Comprendere, Conoscere, La riforma del pensiero, La condizione umana; non è forse di questo che dovremmo iniziare a ragionare? “Vivere è il mestiere che voglio insegnargli” dice Rousseau a proposito del suo Emilio. Forse esagera, perché si può solo imparare a vivere, osserva Morin, a partire dall’aiuto dei genitori, della scuola, dei libri, della poesia, degli incontri. Vivere è un’avventura, e la scuola e l’università forniscono solo una parte delle conoscenze, ma mai la natura delle conoscenze. E qui c’è il primo passaggio, c’è il primo lavoro difficile per gli statuti del sapere per come noi ancora li concepiamo. La conoscenza della conoscenza, la metaconoscenza, indispensabile in tempi in cui internet permette di accedere a tutti i saperi. Urgente, perché per sua natura la conoscenza porta con sé il rischio dell’errore e dell’illusione, perché la conoscenza è sempre una traduzione e una ricostruzione del reale. Ovunque si insegnano conoscenze, da nessuna parte si insegna che cos’è la conoscenza, ci avverte Morin, mentre ricerche sempre più numerose avanzano all’interno della zona più misteriosa, quella del cervello e della mente umana. Conoscere la conoscenza a partire dalle prime classi fino all’università, introdurre una cultura di base che includa la “conoscenza della conoscenza” ormai è vitale.

Crisi dell’insegnamento e crisi della cultura sono inseparabili. Questa crisi innanzitutto nasce dalla sempre più grave dissociazione tra la componente scientifica e quella umanistica della cultura. Disgiunzione nutrita dalla parcellizzazione dei saperi in discipline e sotto-discipline che fonda i nostri sistemi scolastici, fino a produrre una incultura generalizzata. Di qui la necessità di provvedere a stabilire comunicazioni e legami tra le due branche separate della cultura. In gioco è la comprensione. La comprensione intellettuale, ci dice Morin, richiede di apprendere nel contempo il testo e il contesto, l’essere e il suo ambiente, il locale e il globale.
Allora viene spontaneo interrogarsi sui nostri ambienti di apprendimento ancora incentrati sul “testo”, scritto o orale che sia, che chiudono gli usci a tutto il resto che viene.
Ecco la riforma del pensiero. La necessità di un pensiero transdisciplinare. Quel pensiero che proprio l’organizzazione del nostro sistema scolastico uccide nelle nuove generazioni. Lo uccide a partire dall’orario delle lezioni che scandiscono il succedersi delle discipline nella classe e dei docenti alla cattedra. Anche qui Morin ci avverte, il modo di pensiero o di conoscenza parcellare, compartimentato, monodisciplinare, quantificatore ci conduce a un’intelligenza cieca, perché la tendenza umana che sarebbe di collegare le conoscenze viene sacrificata da un sistema di insegnamento che richiede al contrario di acquisire l’attitudine a separarle. Così si impedisce di vedere il globale che si parcellizza e l’essenziale si dissolve. Così si perde l’abitudine a relazionare le conoscenze in un insieme organizzato, a contestualizzare, a globalizzare, ad avere una visione olistica dei saperi. Conoscere è un anello ininterrotto che noi invece segmentiamo.
Non è questa la condizione umana. Del resto nei nostri programmi di insegnamento essa è assente, perché dispersa nella frantumazione delle discipline, dalle scienze alla filosofia, alla letteratura, alle arti, senza le quali tuttavia la nostra conoscenza dell’umano sarebbe mutilata.
Morin suggerisce di inserire l’umano in un nuovo grande racconto dalla nascita dell’universo fino alla presente globalizzazione, la quale altro non è che lo stadio presente di una nuova, ignota avventura.
Torna nelle pagine di Morin con forza l’amore per il sapere, Eros come principio e impulso di ogni riforma dell’educazione che permetta a ciascuno di sviluppare al meglio la propria individualità, il legame con gli altri, di prepararsi ad affrontare le molteplici incognite del destino umano. La riforma dell’educazione non può che essere una riforma del pensiero. Più che una rivoluzione, una metamorfosi.

tag:

Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it