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SIEPI E RECINZIONI VERDI (prima parte)

Quando si parla di giardini e della loro cura, spesso si finisce per sembrare dei presuntuosi che pensano di avere la verità in mano. In realtà, la complessità dell’argomento è tale, che riuscire a mettere dei paletti esaurienti a un discorso è praticamente impossibile. Ogni soggetto ha tante di quelle possibilità e varianti, che alla fine chi scrive risulta o troppo superficiale o troppo perentorio. Uno degli argomenti più spinosi è sicuramente quello della potatura. Secoli di immagini di giardini con siepi potate ad arte e alberi costretti nelle forme più bizzarre e innaturali, hanno messo radici nell’immaginario collettivo trasmettendo un’idea di bellezza legata all’ordine e alla geometrizzazione delle forme spontanee. Questo tipo di potature ha un senso anche ai nostri giorni, perché un taglio preciso, eseguito con regolarità su piante di buon carattere, rimane una tipologia di manutenzione che può essere programmata calcolando costi e tempi con una certa precisione. Ma cosa succede quando una siepe, impostata per diventare un muro vegetale, viene abbandonata per un paio di anni? Come sempre basterebbe dare un’occhiata in giro, sbirciare nei cortili altrui per capire che forse, la comune siepe, non sia la scelta più oculata per fare una recinzione. Tutti abbiamo almeno una siepe di troppo, io ne ho più di una da vent’anni in quel laboratorio di vita che è il mio giardino; per questo, penso di poter dare qualche spunto di riflessione a chi sta valutando come risolvere il problema dei confini.
Dal punto di vista delle essenze, si potrebbero datare i giardini dal tipo di arbusto scelto per fare la recinzione. Ci sono state le mode del cipresso Leylandii, del lauroceraso e da almeno una decina di anni, della fotinia, tutte piante comuni, sempreverdi, rustiche e a rapida crescita. Il Leylandii – x Cupressoyparis leylandii – è una pianta finta, selezionata dall’uomo per avere una specie vegetale in grado di creare dei muri verdi. Se non viene potata regolarmente, in pochi anni raggiunge i 6 metri di altezza e si allarga in modo scomposto. Da usare solo se si è sicuri di poterla mantenere circoscritta e in ordine, con un taglio in pendenza più largo alla base, per favorirne l’illuminazione e far scivolare l’acqua.
Il lauroceraso – Prunus lauroceraso – è una pianta bellissima, le sue foglie lucide di un verde splendente sono veramente spettacolari. È molto rustica, le mie piante sono state danneggiate soltanto dal cattivo drenaggio del terreno: risolto con la creazione di un tombino, che raccoglie l’acqua in eccesso e la indirizza, attraverso una tubazione sotterranea, in un canale; e da una invasione di oziorrinco: bestiolina ingorda che ha divorato i bordi delle foglie, l’ho lasciata fare per qualche anno e alla fine è morta di indigestione. Il lauroceraso tollera molto bene le potature fatte sul legno, quelle meccaniche, che stracciano le foglie, sono una cosa da incivili. Il vigore di questa pianta è sconcertante. Ho fatto l’errore di piantarne alcune in doppia fila, a un certo punto erano diventate così larghe che le potai dall’interno, creando una specie di grotta che usavano i bambini per giocare. Oggi la taglio cercando di dare una forma libera, con curve mosse che sembrano naturali, l’effetto è molto bello, ma richiede una manutenzione maniacale. Nonostante la sua bellezza, non è una pianta adatta ai giardini di dimensioni comuni, al limite può essere allevata come un piccolo albero, perché si stabilizza sui 4/5 metri. Se avessi più coraggio la toglierei perché si sta mangiando metà dello spazio del mio giardino e ho sempre meno energia per tenerla ridotta.
Infine la fotinia – Photinia x fraseri “Red Robin” – un arbusto che si comporta come il lauroceraso, leggermente meno vigorosa, ma che se non viene potata si allarga per metri. Il colore rosso brillante del nuovo fogliame è uno dei motivi del suo successo, ma quello che continuo a non capire è il fatto che, nonostante sia una pianta da tenere continuamente sotto controllo, venga diffusa e consigliata come la soluzione migliore per creare delle barriere vegetali anche in spazi molto ridotti.
Su questo dubbio mi fermo, e lascio in sospeso fino alla prossima settimana.

Fotografia di Raffaele Mosca

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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