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da MOSCA – Come in molti paesi del mondo (e sicuramente l’Italia non fa eccezione), il pane è un alimento fondamentale e molto vario, da sempre. Base di ogni pasto quotidiano, ricco o povero, spesso bistrattato per calorie e lieviti, in Russia non è da meno. Qui, tuttavia, piace molto quello a base di farina di segale che, fino al XX secolo, non era solo l’alimento principale dei contadini, ma imbandiva anche le tavole dei ricchi proprietari terrieri. Questo tipo di pane è stato, per secoli, uno degli ingredienti principali della dieta russa, in particolare nei villaggi, dove si era soliti accompagnare la ‘šči’, una zuppa calda e densa a base di cavolo, con quasi un chilo di pane nero. L’impasto era preparato usando una miscela di fermenti alcolici, che attivavano naturalmente i processi di fermentazione e lievitazione, dando al pane il suo sapore leggermente acido. Si passò poi al lievito termofilo, negli anni ’40 e ’50, abbandonando il pane acido.
Oggi, invece, la Russia sta riscopre la produzione domestica del pane, senza l’aggiunta di lievito, che si dice essere poco salutare e indigesto. Uno dei più famosi tipi di pane russo (buonissimo, anche se dal sapore dolciastro), a base di segale, è il ‘borodinsky’, cotto al vapore, che oltre alla farina e al lievito contiene malto di segale (ottenuto con chicchi di orzo germinati in acqua e poi essiccati e macinati), zucchero, melassa e coriandolo. Salutare e ricco di vitamine B1 e B2.

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Pane borodinsky

La sua nascita è misteriosa. Secondo la leggenda, fu sfornato per la prima volta da un gruppo di suore in un convento vicino al campo di battaglia di Borodino, dove, nel 1812, la Russia si scontrò contro l’esercito di Napoleone. I suoi semini tondi dovrebbero ricordare i bossoli dei proiettili che lacerarono il corpo del generale Tuchkov, che nella battaglia condusse il suo reggimento di moschettieri all’assalto. Non riuscendo a trovare il cadavere del marito sul campo di battaglia, la vedova del generale fece costruire sul presunto luogo della sua morte un monastero, del quale in seguito divenne badessa. Si dice che questo pane sia nato proprio nel forno del monastero di Mozhaisk, da dove la sua fama raggiunse Mosca, conquistandola. Stando a un’altra versione, il pane Borodinsky sarebbe stato inventato, invece, dal famoso professore Borodinsky, studioso di chimica e compositore di fama, che, durante un soggiorno in Italia, entrò in possesso della sua ricetta segreta. Secondo altri, infine, sarebbe stato inventato dai compagni Spredze e Zakis, due panettieri residenti a Mosca e impiegati presso il panificio N.159. Qualunque sia la sua origine, la ricetta del moderno borodinsky è stata approvata, nel 1933, dalla Panetteria centrale di Mosca. Oggi, come allora, si accompagna al ‘borsch’, fa da spuntino insieme alla vodka, combinato a filetti di aringa marinata, o può essere servito a colazione con una tazza di tè nero.
Il pane bianco a base di frumento divenne popolare in Russia solo alla fine del XX secolo, come dicevamo, e per la gente comune rimase a lungo un simbolo di ricchezza e prosperità, da consumarsi solo in occasioni speciali. Uno dei pani bianchi più famosi del Paese è il ‘kalach’, fatto con farina di frumento e modellato a forma di maniglia. Intorno al XIV secolo, i russi presero in prestito dai tartari la ricetta del pane bianco azzimo e le abili mani dei panettieri locali lo trasformarono in qualcosa di unico.

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Kalach

Il kalach era preparato con farina bianca di qualità, ma la sua caratteristica era l’impasto speciale, che veniva lavorato a lungo e in un luogo fresco. I tipi più famosi di kalach erano il ‘moskovsky’ (da Mosca) e il ‘muromsky’ (da Murom, nella regione di Vladimir). Il kalach era il pane preferito dall’imperatrice Caterina la Grande, e da allora, le pagnotte decorano lo stemma araldico della città di Murom. Si ricevevano gli ospiti sull’uscio con un kalach appoggiato su un panno ricamato e una coppetta di sale, augurando loro “Хлеб да соль”, pane e sale.

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Panno ricamato con l’augurio ‘pane e sale’

L’ospite doveva prenderne un pezzetto, intingerlo nel sale e mangiarlo. Con queste parole si auguravano fortuna e prosperità nella speranza che, nelle case dei nostri ospiti, non mancassero mai i prodotti considerati essenziali per la vita: il sale, indispensabile per conservare il cibo per i momenti difficili e per renderlo più gustoso e il pane, per saziare la fame. La tradizione della segale tuttavia oggi ritorna in forza. Altri pani che oggi si trovano sulle tavole russe sono, infatti, il ‘Nareznoj’, un pane a base di frumento e segale cotto nel forno a legna (Stolichnyj, Izmajlovskij, Sokolnicheskij), di forma ovale o rotonda, preparato con una miscela a base di farina di frumento e segale, e lievito naturale;

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Darnickij
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Gorchichny
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Baton nareznoj

il ‘Gorchichnyj’, pane a base di farina di frumento con l’aggiunta di semi di senape o olio di senape, grazie ai quali la soffice mollica assume un colore giallastro; la classica pagnotta con la crusca; il ‘baton nareznoj’ (pane rigato), pane bianco a base di farina di frumento, di forma ovale allungata, con una mollica compatta, così chiamato per via dei caratteristici tagli che vengono realizzati sulla pagnotta prima della cottura; il ‘Darnickij’, pane a base di segale e frumento, chiamato “mattone” per la sua forma, dal caratteristico sapore acido per via dell’elevato grado di acidità dei suoi ingredienti; l’’Aromatnyj’ (Aromatico), a base di farina di frumento con l’aggiunta di malto di segale scura, burro e coriandolo, dal sapore leggermente piccante e dall’aroma speziato. L’elenco potrebbe essere ancora lungo, in un ritorno al passato e alla tradizione che caratterizza ormai molti paesi. Viva la tradizione, allora.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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