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Ferrara andrà presto a elezioni. Onde per cui, dopo i fatti di sabato sera, non potendoli schierare contro i Gilet Jaunes francesi che piacciono tanto a Di Maio, Matteo Salvini manderà altri militari in Gad.
E’ così che la nostra povera città sale agli onori delle cronache. Siamo dunque allo stato di guerra? Scusate, ma io non ci credo. La ‘soluzione militare’ è la peggior soluzione possibile, è pura follia: un buon modo per attizzare il fuoco invece di spegnerlo. Forse però bisogna alzare gli occhi da Ferrara, guardare il quadro da un po’ più lontano. Altrimenti non si capisce.

Prologo western
Tutte le volte che incontro il ministro Salvini – e lo incontro almeno 20 volte al giorno, data la sua sapienza a materializzarsi in qualsivoglia media. Tutte le volte che lo vedo – e lo riconosco all’istante, anche se lui cerca di disorientarmi cambiandosi la felpa e travestendosi da sceriffo, poliziotto, militare, pompiere, militante di Casa Pound o volontario della protezione civile. Tutte le volte che lo ascolto parlare – usando carezze e promesse, minacce o avvertimenti – mi viene in mente il Vecchio West .
Ho sempre avuto un debole per i film western. Dai classici in bianco e nero come “Ombre rosse” ai capolavori di Sergio Leone, dagli spaghetti western pieni di salsa di pomodoro a quelli dalla parte degli indiani come “Piccolo grande uomo”, da “Kill Bill Volume 1” di Quentin Tarantino, a “Il Grinta” dei fratelli Coen.
Anche il genere western è epica, ancorché un’epica minore rispetto a quella che si studia a scuola. Così, non si dà western senza un eroe in primo piano. Senza uno sceriffo e un fuorilegge. Un buono e un cattivo.

La strategia dello sceriffo furbo
In America – nel Vecchio West, ma anche oggi in molti Stati dell’Unione – la carica dello sceriffo è elettiva. Per diventare sceriffo devi convincere i tuoi concittadini che sei tu l’uomo giusto, il più fottutamente duro, l’unico in grado, quando arrivano i cattivi, di “mettere le cose a posto”.
Matteo Salvini è uno sceriffo particolarmente furbo. La sua nuova Lega, meno nordista e più nazionalpopolare, ha sostituito il rito dell’ampolla del fiume Po con il formidabile algoritmo ‘Bestia’, basando molte delle sue fortune sul martellamento mediatico: viva la sicurezza e addosso gli immigrati.
Che poi in Italia, dati ministeriali alla mano, non ci sia né un’emergenza sicurezza (nel Belpaese si delinque più o meno come ieri o l’altro ieri) né tantomeno una emergenza sbarchi (calati di oltre l’80% nell’ultimo anno), ha poca importanza. Né ha importanza che l’Italia (quella in carne e ossa) sia afflitta da ben altre emergenze: poveri in aumento esponenziale, disoccupazione al palo, aziende che chiudono, produzione industriale a picco, ambiente disastrato, periferie abbandonate a se stesse, scuole col tetto pericolante e senza termosifoni .
L’elenco potrebbe continuare, ma sarebbe davvero inutile. Il superlavoro mediatico, l’infinita campagna elettorale dello sceriffo furbo è tutta concentrata sulla paura. La paura degli immigrati: che ci portano via il lavoro, abitano nelle nostre case, mangiano il nostro pane a ufo, vendono droga agli angoli delle strade. E soprattutto delinquono: a tutto spiano: da mane a sera: di giorno e di notte.

La insicurezza non è un’invenzione, però…
Bisogna intendersi. La insicurezza non se l’è inventata Salvini. In Italia sono insicuri i giovani, senza prospettive e che scappano all’estero. Sono insicuri i 6 milioni di italiani sotto la soglia di povertà. E’ insicura una classe media sempre meno media e sempre più impoverita. Sono insicuri i milioni di lavoratori precari senza alcuna protezione. Gli operai che perdono il lavoro. I vecchi sempre più soli. L’insicurezza esiste eccome, ma il capolavoro del leader leghista, la sua idea geniale, è quella di aver ‘scovato il colpevole’, di aver offerto agli italiani un capro espiatorio (nero, per giunta) a cui addossare la colpa di tutti i mali.
Per vincere – anzi, per trionfare, visti gli ultimi sondaggi – lo sceriffo d’Italia ha bisogno di aver di fronte un pericoloso fuorilegge. E se il cattivo non c’è, lo sceriffo furbo se lo inventa. Così Salvini ha incanalato tutta la insicurezza che gli italiani vivono ogni giorno, gli ha dato un nome e un cognome: i clandestini, gli africani, gli invasori.
Il cerchio si chiude. Sarà poi lo stesso sceriffo, sfidando a duello il cattivo, a riportarci la pace e la sicurezza perduta.

Decreto Sicurezza? Aou contraire
C’è però qualcosa di peggio, di più furbo – e di più cinico – nella strategia di Matteo Salvini (sul cinismo leggete “M” di Antonio Scurati e vi chiarirà molte cose). Nei panni del Grande Comunicatore, il leader maximo della Lega alimenta una formidabile macchina mediatica contro profughi, immigrati e stranieri in genere. E sempre lui, questa volta come Ministro degli Interni e domus del governo giallo-verde, si impegna concretamente per aumentare il tasso di insicurezza in circolazione nel Paese. Perché, come si sa, le parole non bastano: ci vogliono i fatti.
Il fatto più eclatante, il provvedimento più gravido di conseguenze nefaste è il D.L. 113, meglio conosciuto come ‘Decreto Sicurezza’, voluto fortissimamente da Matteo Salvini e votato con la fiducia da un Parlamento silenziato. Un decreto che sembra fatto a bella posta per mettere in circolo altra insicurezza, altra paura, altro razzismo.
Il decreto dimezza i fondi per l’accoglienza, segnando la probabile morte dell’esperienza degli SPRAR, un esperimento forse imperfetto, a volte mal gestito, ma sicuramente il progetto più avanzato e intelligente per l’integrazione. Chiudono gli SPRAR e vengono ‘liberati sul territorio’ migliaia di profughi: a stazionare nelle piazze e nelle stazioni, a ingrossare l’esercito dei lavoratori schiavi, alcuni ad arruolarsi nelle fila della malavita organizzata.
L’articolo 13 del Decreto reca invece le “Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica”. Bastano poche righe e il permesso di soggiorno non costituisce più un titolo per aver diritto al certificato di residenza. E’ una misura assurda, lesiva dei diritti più elementari della persona, ma – vista dalla parte dello sceriffo Salvini – è un modo perfetto per fabbricare nuovi clandestini. Un sistema per creare più disagio, più precarietà, più insicurezza.

Il monello e il vetraio
Alla fine, non ci vuol molto a scoprire il gioco di Matteo Salvini. La sua strategia si basa su un trucco vecchio come il mondo. Ce lo racconta Charlie Chaplin, senza bisogno di parole, nel suo capolavoro “Il Monello” (1921). Il monello passa per la strada, tira sassi e rompe i vetri delle finestre. Appena dietro di lui, arriva un omino con il suo carretto: è il vetraio che offre il suo servizio ai poveri abitanti con le finestre rotte.
Il monello e il vetraio – ma gli abitanti della via non lo sanno – lavorano assieme, fanno parte della stessa ditta: uno rompe e l’altro si offre di aggiustare. Salvini però è ancora più bravo, recita entrambe le parti in commedia: il monello e il vetraio. Fabbrica ogni giorno più insicurezza e contemporaneamente appare come colui che ci porterà in dono la sicurezza perduta.
Ma se il giochino della ‘fabbrica della insicurezza’ è così elementare, perché gli italiani (compresi i tanti con le finestre rotte) non hanno ancora mangiato la foglia?
Evidentemente non è così semplice.
Infatti la fabbrica della insicurezza lavora senza sosta. In tutto il mondo. Di qua come di là dell’oceano, dove, per finanziare il suo Muro contro un nemico inesistente, Donald Trump bypassa Congresso e Costituzione americana e proclama lo stato di emergenza nazionale.
La fabbrica della insicurezza non è una novità. L’abbiamo già vista in passato in piena produzione. Anche in Italia, con un esito tragico. Quella volta ci sono voluti più di vent’anni e una guerra orrenda, perché noi italiani aprissimo gli occhi. La speranza è che questa volta ce ne possiamo accorgere un po’ prima.

in copertina illustrazione di Carlo Tassi

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

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Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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Francesco Monini
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