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Settanta a Trenta: come prevedibile nel Referendum per il taglio netto dei parlamentari il Si’ hanno largamente prevalso. Non è stato un plebiscito – molti intellettuali, leader politici disubbidienti e tante persone di buon senso si sono espressi per il No – ma la netta vittoria della antica bandiera del Movimento 5 stelle è innegabile.
Difficile e interessante però capire chi sia il vero vincitore della tornata referendaria. Non certo i pentastellati, usciti dalle urne delle Elezioni Regionali con le ossa rotte, pesantemente ridimensionati, o addirittura spariti: Il grande mare dei loro consensi sembra essersi prosciugato.
IL Centro Sinistra e il Partito Democratico riesce a tenersi Toscana e Puglia. Salvini rimane fermo al palo e dovrà guardarsi dal suo futuro competitor, il leghista pragmatico Zaia che trionfa nel suo Veneto. La Meloni conquista per la prima volta le Marche. Infine Conte e il suo governo bipolare possono sperare di arrivare alla fine della legislatura, rintuzzando smottamenti e spinte centrifughe.
Il quadro politico sembra confermato. Ognuno rimane al suo posto. Ma forse non per molto: un durissimo autunno  e un gelido inverno ci diranno se gli equilibri politici che l’esito del referendum ha puntellato, reggeranno davanti all’approfondirsi della crisi. Se basteranno i tanti miliardi in arrivo a turare le falle dell’economia e della società italiana. Se le tanto promesse e sempre accantonate riforme – vedi Zingaretti – verranno finalmente messe in agenda.

Non so chi possa davvero gioire per un Parlamento dimagrito. In sintesi: abbiamo risparmiato due lire e abbiamo tolto rappresentanti a vari territori del Paese. Ma il referendum è solo una tappa di un lungo percorso. In realtà il problema è il Parlamento stesso, la forma più alta di rappresentanza prevista dalla Costituzione. Da molti anni, da molti governi e di vari colori, il Parlamento è stato svuotato di poteri, e parallelamente il potere esecutivo (e gli accordi tattici tra i capipartito) sembra aver preso definitivamente il sopravvento. Magari qualcuno – è già successo nel recente passato – pensa che in fondo il Parlamento possa essere aggiunto alla lista degli enti inutili. In tutti i casi, anche se stentiamo ad accorgercene, la democrazia italiana ha la febbre alta.

E’ importante capire i messaggi fondamentali che emergono dal referendum. Capire cioè cosa sta succedendo, e cosa potrebbe accadere, al rapporto tra cittadini e istituzioni, tra una  società sempre  più “liquida” e una politica sempre più distante e autoreferenziale. In ultima analisi: dove sta andando in Italia la democrazia e l’istituto della rappresentanza che rappresenta uno dei pilastri della nostra Carta Costituzionale.
Se ci chiediamo chi ha orientato la grande maggioranza degli italiani a votare Sì, la direzione, la spinta è stata ancora una volta impressa dal vento dell’antipolitica: una opinione pubblica che dimostra sfiducia, o disinteresse, o disgusto per la politica, per i partiti, per l’irrilevanza delle forme di rappresentanza popolare. Beppe Grillo aveva dato voce a questo profondo malessere, poi i 5 stelle l’avevano capitalizzato con straordinari risultati elettorali. Ebbene, la crisi verticale del partito di Di Maio, come pure l’appannamento del programma populista di Salvini o le indecisioni del Pd, hanno lasciato intatta la forza dell’antipolitica, momentaneamente orfana, ma in ottima salute: tanto che la vedremo puntualmente ripresentarsi nel prossimo futuro.

Non uso questo termine, antipolitica, con un’accezione solo negativa (e quello che invece normalmente si legge) ma come un sentimento drammatico e plurale: una coscienza individuale diffusa di estraneità e impotenza verso le piccole e grandi scelte assunte dalla classe politica dirigente.

Potrebbe sembrare l’anticamera della “fine della politica”, o comunque della politica come l’abbiamo conosciuta in questi ultimi vent’anni.  Invece, ecco un fatto nuovo di questo Referendum, i grandi partiti – proprio loro che erano potenzialmente sul banco degli accusati – si sono accodati – Tutti – al vento dell’antipolitica. E accodandosi al Si, prendendosi un pezzetto di vittoria, hanno pensato di allungarsi  la vita, .almeno per un poco. Almeno per un poco le cose sarebbero andate avanti come sempre. Al governo come all’opposizione.

Così probabilmente sarà. Si tirerà avanti fino all’elezione del Presidente della Repubblica  e alla fine della legislatura. Il nodo però rimane. E assomiglia a una bomba inesplosa. Una politica che per sopravvivere si accoda all’antipolitica non promette nulla di buono. Una classe politica che non ha il coraggio di riformarsi, che non riesce a dare nuova rappresentanza alle istanze sociali, che non riflette sulla crisi della forma partito, che non restituisce dignità, ruolo, potere al Parlamento, che si affida a questo o quel potente califfo locale: le premesse per una crisi della democrazia italiana ci sono tutte.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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