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8 Novembre 2016

La fuga

Tempo di lettura: 3 minuti


Il tema della ‘fuga’ rappresenta quanto di primordiale è presente in ciascuno di noi, quel puro istinto animale che ci spinge a lasciare alle spalle sofferenza, disagio, dolore, malessere e frustrazione. La fuga da qualcosa o qualcuno fine a se stessa non ammette prospettiva certa di risoluzione mentre la fuga verso altro contiene una qualche visione di futuro, di cambiamento, un diverso punto di arrivo e ripartenza che rinnoverà la nostra capacità e resistenza esistenziale. La fuga depauperata da un senso di consapevolezza e responsabilità può trasformarsi in un’azione sterile che lascia un vuoto ancora più grande perché, come ci ricorda Seneca, “Il tuo animo deve cambiare, non il cielo sotto cui vivi. La furia con cui continuamente viaggi di qua e di là non serve a nulla. E sai perché non trovi sollievo nella fuga? Perché mentre fuggi ti porti sempre dietro te stesso.” O, per dirla molto semplicemente come recita Stefano Accorsi nel film “Radiofreccia”: “La voglia di scappare da un paese di ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te stesso non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx.”
Fuga da una vita sbagliata in cui nulla quadra e tutto sembra disegnato al contrario; fuga da una cultura che non include ma discrimina e uccide lentamente oppure fuga da modelli sociali che esigono da noi ciò che in realtà non siamo nella nostra essenza umana. Fughe da persone che si appropriano della nostra anima e ci spremono fino all’annientamento oppure da chi esercita la violenza fisica che massacra fisicamente e nella psiche. Si fugge dal tradimento di coloro in cui abbiamo creduto, depositari dei nostri sentimenti e della nostra fiducia perché non tutti riescono a trasformare il dolore in risorsa. C’è chi fugge da se stesso perché, dopo essersi rincorso a lungo e inutilmente, decide di lasciarsi andare oppure chi lo fa per uscire da una vita piatta e mediocre, sulla scia di miraggi e facili promesse che non conducono da nessuna parte, spesso peggiori del grigiore stesso.
Qualche volta la fuga è solo un giro di walzer, si vaga e si spazia alla ricerca di qualcosa per poi ritrovarsi allo stesso punto di partenza e allora si capisce che era quello il nostro posto. La fuga diventa rottura drastica e drammatica in situazioni pesanti e intollerabili come la guerra, le dittature, la povertà e la fame vera, trasformandosi in un lungo viaggio attraverso esperienze a volte devastanti, a volte risolutive.
Pensieri di fuga accompagnano coloro che, in realtà di coercizione e impossibilità di disporre della propria libertà, volano con le ali della mente per liberarsi da muri e catene che li trattengono. La fuga diventa necessità quando il pregiudizio, dettato dall’ignoranza e dall’abbruttimento sociale, impedisce ogni tipo di confronto e dialogo tra esseri umani, creando isolamento e profonda solitudine. Ma l’istinto e il desiderio di fuga diventano, a volte, l’unica esigenza e risorsa per sopravvivere, in presenza dei grandi tabù della vita, la malattia e la morte, quando non si riesce ad accettare l’ineluttabilità del principio e della fine e si scappa dall’angoscia.
Sempre più spesso la fuga in senso lato, verso Paesi e continenti diversi, diventa lo strumento per andare incontro a nuove opportunità nella realizzazione di sé e allora rimane quel senso di nostalgia nell’abbandonare il proprio nido, consapevoli però di andare incontro al mondo. A volte si fugge per esorcizzare la pesantezza dell’esistenza, per non vederne le voragini, per non doverne riconoscere i momenti di buio.
La fuga può essere un atto di coraggio o di debolezza dominato, in quel preciso istante, dalla percezione che ciascuno ha di sé, degli altri e dell’ambiente circostante, guidato dalla forza o dalla vulnerabilità del momento, sottoposto alle circostanze esterne che diventano variabili decisive. La fuga è anche un atto di dignità che rimane a chi non vede alternativa se non quella di accettare ciò che non potrebbe mai approvare, obbligato a deviare dai propri princìpi.
Fughe caratterizzate da sconfitte, successi, tentativi, sogni, avversità che accompagnano percorsi a volte tortuosi, altre più lineari ma sempre e comunque vitali, indicano ad ognuno un possibile approdo che non sarà sempre definitivo e sereno ma pur sempre una svolta, un cambiamento se ne riconosciamo la validità con responsabilità e gratitudine.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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