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di Michele Balboni

All’approssimarsi del 27 gennaio, trascorsi tre quarti di secolo dall’ingresso nel campo di sterminio di Auschwitz, mi chiedo quale modestissimo contributo posso fornire io. Parlare con chi ti sta vicino e sensibilizzare i figli, presenziare ad iniziative, leggere qualcosa e anche – perché no –comporre un testo originale e proporlo. Anche Irène Némirovsky, attorno al 1938, davanti alla marea  montante dell’ antisemitismo, annotava nei suoi appunti: “Cosa posso fare io se non scrivere”.

Irène Némirovsky è la mia scrittrice preferita. Ebrea di nascita di padre e di madre, trova la sua fine proprio ad Auschwitz il 17 agosto 1942. Il registro di morte del campo parla di tifo, ma non v’è dubbio che sia passata per i camini. Irène è “nel vento” da allora, ma i 17 romanzi e le decine di racconti che ci ha lasciato sopravvivono alla umana follia e resteranno per sempre vivi.

Era nata a Kiev, capitale della Picccola Russia (ora Ucraina), l’11 febbraio 1903. Figlia di un banchiere ebreo, Leonid, e di una madre che non le ha mai voluto bene, Anna Margulis; vive quindi poco più di trentanove anni. Ma valgono un secolo. Il ‘900 vede in Europa molteplici avvenimenti di portata epocale, e lei è protagonista diretta di due grandi accadimenti, forse quelli di maggiore impatto e drammaticità: la Rivoluzione Russa e – tragicamente – la Shoah.

La vita stessa di Irène Némirovsky è un romanzo: per quello che vive, per gli avvenimenti che affronta direttamente, per ciò che le succede vicino. Tutta la sua vasta produzione narrativa, letta in controluce con la biografia, racconta il romanzo di una vita. Scrive lei stessa: “Nella mia vita ci sono abbastanza ricordi e abbastanza poesia per farne un romanzo”. E nel 1933, già famosa scrittrice, dichiara ad un giornale russo: “Con tutti gli episodi della mia vita si potrebbe scrivere la sceneggiatura di un film”. Inevitabile richiamare alla memoria il famoso “Ho visto cose che voi umani..” di Blade Runner.

Il film della sua vita si dispiega tra la Rivoluzione Russa con i turbolenti anni che la precedettero, fino a quando, nella sua nuova patria, la Francia, viene caricata su un treno con destinazione sterminio. Nel mezzo, stanno ben vivi i suoi ricordi. Nei suoi romanzi la sua prosa racconta il pogrom di Kiev del 1905, i moti rivoluzionari sotto casa sua, il suicidio della sua tata Zezelle, la fuga da San Pietroburgo in slitta, la guerra civile finlandese, un quasi naufragio nel viaggio verso la Francia, le ultime luci della Belle Epoque vista dalla sua finestra a Parigi, il successo come scrittrice, il bel mondo, la ricchezza, l’amore e il matrimonio, due figlie, l’antisemitismo arrembante, il confino nella campagna francese, la (quasi) povertà, l’invasione dell’esercito tedesco, la stella gialla degli ebrei cucita sul petto, le ultime righe scritte seduta nel bosco della campagna francese dove era riparata, la porta del vagone che si chiude.

Tra i tanti romanzi e racconti composti, vere punte di eccellenza letteraria sono Suite francese  (incompiuto, pubblicato postumo solo nel 2004 e diventato un caso letterario internazionale), David Golder (1929) che le da successo e popolarità, il romanzo breve e sferzante Il Ballo (1930). Io – forse perché per me è stato il primo incontro con la scrittura di Irène Némirovsky  – sono particolarmente legato a Jazabel (1936), la storia di una bella donna tremendamente egoista e ispirato a sua madre.

Il 13 luglio 1942 viene prelevata dai gendarmi francesi collaborazionisti e portata via. Lei e la famiglia ignorano  ancora la destinazione finale. Poche settimane dopo anche il marito Michel Epstein troverà il medesimo destino. Nel vagone Irène trova ancora il modo di scrivere: “Non rimpiango niente. Dunque sono stata felice. Non lo sapevo, ma ho avuto tutte le fortune. Sono stata amata. Lo sono ancora, lo sento nonostante la distanza, nonostante la separazione“. Di lei, che ha prevalentemente vissuto a Parigi, un biografo scrive: “Nata a Est è andata a morire a Est. Ma chi può oggi mettere in dubbio che Irène Némirovsky sia straordinariamente viva?”.

Per chi non la conosce, un atto di ricordo in occasione del Giorno della Memoria, può essere la lettura di un suo romanzo.

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Redazione di Periscopio


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