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I ricordi del Natale cui Teresa è più affezionata sono quelli sul suo primo albero di Natale e sulla letterina che si scriveva a scuola a Gesù Bambino.
“L’albero di Natale, abbiamo iniziato a farlo solo dopo la guerra, prima non era ben visto dal parroco perché non era considerato cattolico”: “in casa nostra, da che mi ricordo, c’è sempre stato il presepe, l’albero invece non lo facevamo tutti gli anni”. “Usavamo delle bellissime palline di vetro, molto probabilmente regalate dai vari conoscenti, perché non avevamo certo i soldi per comprarle tutte. Ero riuscita a conservarle fino a un paio di anni fa, ma poi con il terremoto sono andate perdute. Che rabbia mi viene, non farmici pensare troppo!”
Naturalmente gli alberi finti erano ben di là da venire, ma anche quelli vivi erano molto rari: “il nostro primo albero di Natale, come poi per molti anni a seguire, non è stato un abete vero perché costavano troppo. Un bastone di legno faceva da tronco e poi mi ricordo che il nonno infilava in alcuni buchi dei rami di abete, erano le potature che si facevano nei giardini e si riciclavano in questa maniera”. “Le prime luci che si usavano non erano elettriche come ora, ma candeline infilate dentro a portacandele con una mollettina che si agganciava ai rami. Le luci elettriche sono venute molto dopo: mi ricordo che a mia sorella piaceva giocare con l’intermittenza, ma la mamma si arrabbiava molto perché era pericoloso”.
Uno dei gesti rituali di preparazione al Natale era la letterina scritta negli ultimi giorni di scuola prima delle vacanze. Era indirizzata a Gesù Bambino, non a Babbo Natale, che sarebbe arrivato solo dopo la guerra insieme alla Coca Cola, e la si scriveva per chiedere scusa di aver disubbidito alla mamma e al papà, non per reclamare i più svariati regali. “La letterina – spiega Teresa – la scrivevamo a scuola nei giorni prima delle vacanze: ci facevano portare la carta da lettera, o un foglio bianco quando non ci si poteva permettere altro, e in altro a destra ci facevano disegnare Gesù nella greppia, come se fosse una specie di intestazione”. “La nostra maestra era bravissima – si intenerisce e sorride – perché se ne inventava di tutti i colori per farci fare dei bei lavoretti: mi pare che addirittura ricalcassimo i disegni alle finestre. Poi li coloravamo con le matite e con le dita sfumavamo i colori. L’operazione più difficile però era fare la cornice con i brillantini: con il pennello dovevamo spalmare la colla liquida e poi ci mettevamo sopra i brillantini colorati. Sbavare e spargere i brillantini per tutto il foglio era il mio terrore!”
La lettera “era piena di buoni propositi per l’anno nuovo e di scuse per tutte le volte che avevi disubbidito alla mamma e al papà. Sì perché anche se era indirizzata a Gesù, in realtà chi la riceveva era proprio il papà: la si metteva sotto il piatto il giorno del pranzo di Natale, doveva essere nascostissima e lui fingeva di essere sorpreso nel trovarla là alla fine del pranzo: era un momento di grande eccitazione attorno alla tavola. No aspetta! La nascondevamo sotto il piatto della minestra e lui avrebbe dovuto trovarla dopo aver mangiato il primo – si corregge Teresa – perché mi ricordo che ogni anno si divertiva a stuzzicarci e diceva con la mamma: “Oggi non cambio piatto eh, mangio tutto qui, anche il secondo!” Io guardavo la mamma delusa perché così avrebbe visto la lettera solo una volta finito di mangiare”.
Se vi state chiedendo come facessero a nascondere sette letterine sotto il piatto, ecco la spiegazione di Teresa: “In realtà era tradizione che solo il più piccolo la nascondesse: noi abbiamo avuto la fortuna di poterlo fare tutti, essendo nati in anni diversi”.
“Una volta scoperta, il papà la leggeva forte a tavola davanti a tutti e ci faceva i complimenti e soprattutto ci dava una piccola mancia: era l’unica di tutto l’anno!”

Le puntate precedenti
Nei racconti dei nonni il significato autentico del Natale
Il Natale fra le due guerre: “Mandarini, caramelle e le zigale ci bastavano per fare festa”
Quando a Natale sbocciavano i fiori di carta
La Novena di Natale: infreddoliti ma felici

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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