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Niente è più come prima. O meglio, non è più come ce la siamo sempre immaginata, la tipica Emilia Romagna. Bisogna chiedere agli anziani com’era negli anni cinquanta e sessanta, quando non si riusciva a vedere a un palmo dal naso per la nebbia, che in autunno dalla mattina alla sera tuffava le città e i paesini alle sponde del Po in spesse matasse di cotone, come dalla poesia di Attilio Bertolucci Nebbia e nebbia per giorni. Cosa sarebbero stati i primi film di Michelangelo Antonioni, i romanzi di Riccardo Bacchelli o di Giorgio Bassani, le fotografie di Luigi Ghirri senza l’eterna nebbia? Ci sono ancora quelle giornate piene di foschia e di nebbia, ma bisogna soltanto guardare le ciminiere dell’industria chimica all’orizzonte di Ferrara per capire da dove provengono queste serate d’autunno, appiccicaticce e impenetrabili. Da nessun’altra parte d’Italia si vedono così tante biciclette nelle stradine di campagna o in città, come in Emilia. Appena si lasciano, però, queste stradine fuori mano, un tir dopo l’altro passa rombante su quelle strade ricche di storia come la via Emilia o la via Romea. Ci sono ancora anche le bandiere rosse ad ornare molti giardini, ma non ci abitano più i comunisti di una volta, fieri di mostrare le proprie convinzioni politiche. L’Emilia è rimasta “terra rossa”, anche se non si vedono più la falce e il martello, ma l’emblema della Ferrari con la sede principale a Maranello, nei pressi di Modena. La maggior parte dei comuni emiliani sono tuttora gestiti da partiti che sicuramente non sono di destra. Ma anche questa egemonia della sinistra politica va svanendo ad ogni votazione. A parte i vecchi compagni d’una volta, qui nessuno vuol esser chiamato “comunista”. Peppone, il funzionario del partito comunista dall’atteggiamento stalinista e di fede cattolica, creato da Giovanni Guareschi, è da tempo divenuto una “figura da cartolina”, come anche la sua astuta controparte cattolica, Don Camillo. Se poi è sempre vero che c’è ancora un prete in ogni paesino, allora al giorno d’oggi spesso è di origine polacca o africana. Ci sono addirittura chiese sconsacrate che ospitano pezzi di antiquariato o che sono diventate cinema a luci rosse. In alcune cittadine vivono ormai tanti musulmani quanti cristiani. Mentre le commemorazioni della Resistenza antifascista sbiadiscono sempre di più, diventando semplici riti di dovere delle autorità politiche locali, i negozianti di souvenir attorno alla tomba del Duce a Predappio non hanno di che lamentarsi perché gli affari non vanno male. Nessuno ha descritto così attentamente, in modo laconico ma allo stesso tempo poetico, lo smantellamento della cultura ebraica in Italia e le deportazioni degli ebrei italiani nei campi di sterminio tedeschi, come il ferrarese Giorgio Bassani. Deportazioni di ebrei, di cui però non pochi erano stati fedeli seguaci di Mussolini fino alle leggi razziali del 1938!
Attorno a città come Bologna, Parma, Modena, Piacenza, Reggio Emilia, Ferrara, Ravenna o Rimini, con le loro splendide piazze e i loro palazzi rinascimentali, si sono formate spesse croste di supermercati, outlet, autolavaggi e discoteche che si possono trovare dappertutto in Europa. Forse però, le periferie italiane sono ancora più noiose, ancora più commercializzate e brutte che nel resto d’Europa. Forse qui la distruzione dei paesaggi da parte dell’edilizia selvaggia è così deprimente e dolorosa, perché le immagini nelle nostre menti sono ingenue e idilliache. Ma nonostante l’evidente uniformazione di tante città e di tanti paesini sul Po, qui è ancora possibile scoprire favolosi misteri. Per la fantasia degli scrittori e degli artisti, questa è ancora una terra molto fertile. E l’orgoglio della popolazione locale per la “bella pasta”, il prosciutto di Parma o la piadina romagnola è tuttora imbattuto. In ogni piccolo paesino c’è una trattoria con un menù che al di là delle Alpi si può soltanto sognare. E anche se le feste dell’Unità, tradizionalmente feste comuniste, hanno perso il loro nome e ogni significato politico, a queste feste, che possono durare anche settimane intere, si cucina ancora come ai tempi delle vecchie cooperative comuniste.
E si è anche orgogliosi della letteratura dell’Emilia Romagna, che ha donato alla cultura italiana opere immortali e scrittori indimenticabili. I libri di scuola sonno pieni di autori nati, cresciuti e morti proprio qui, o che qui hanno ambientato i loro romanzi o i loro racconti. Ariosto, Pascoli, Bassani, Baccelli, Guareschi, Malerba provengono da questi luoghi. Pier Paolo Pasolini è nato nel Friuli, a Casarsa delle Delizie, e lì è stato anche sepolto assieme a sua madre, ma ha vissuto per anni a Bologna. Neanche Umberto Eco è emiliano (è nato in Piemonte, ad Alessandria), vive però da decenni a Bologna e a San Marino, quel minuscolo Stato autonomo in mezzo alla Romagna. Anche Mario Soldati era piemontese, ma amava i paesaggi della pianura Padana e così le dedicò alcuni dei suoi più bei racconti di viaggio. Gianni Celati è di Sondrio, in Lombardia, ma come nessun altro scrittore italiano ha dedicato racconti meravigliosamente affettuosi ai “matti padani”, una razza di civette che si trova nei pressi del Po. Le figure letterarie di Ermanno Cavazzoni, nativo di Reggio Emilia, forse sono ancora più bizzarre, più stravaganti e ancor più fantasiose. Chi non ha ancora letto i suoi racconti non riuscirà mai a comprendere le particolarità dei Padani, le loro stranezze, il loro modo di fare spesso un po’ i ribelli. Importanti giornalisti italiani come Enzo Biagi, Gianni Brera e Sergio Zavoli sono nati qui. Lo sfortunatamente già deceduto Lucio Dalla e Francesco Guccini, due dei grandi cantautori degli anni settanta e ottanta, sono di Bologna e di Modena. E a Zocca, un paese vicino a Bologna, è nato Vasco Rossi, una delle rock star più grandi degli ultimi decenni. Per non dimenticare naturalmente due veri giganti del cinema italiano: Federico Fellini di Rimini e Michelangelo Antonioni di Ferrara. Cesare Zavattini, forse conosciuto all’estero soltanto dai cineasti come geniale sceneggiatore (“Umberto D”) e “impresario di cultura”, è di Luzzara, vicino a Parma. Tonino Guerra, sceneggiatore del film forse più popolare di Fellini Amarcord e collaboratore di registi come Angelopoulus, è di Sant’Arcangelo nelle vicinanze di Rimini.
Nei testi di autori più giovani, come Ugo Cornia, Daniele Benati, Giulia Niccolai o Simona Vinci invece, si sente fortemente che la velocissima industrializzazione ha lasciato un segno su questa regione e ne ha distrutto il paesaggio. Ma così come la tenue luce della pianura Padana riesce ancora a donarle un aspetto magico, nei testi letterari, più o meno vecchi, si riesce ancora a trovare un’Italia che forse non esiste più. O almeno non esiste in questa forma, nella realtà, ma che qui in Emilia Romagna riesce ancora ad emanare un fascino particolare, grazie all’atmosfera malinconica e nebbiosa della pianura e grazie alla comicità surreale che guizza in tanti discorsi. E se non la si trova più nella realtà, sicuramente si trova nella letteratura che questa regione ha dato.

[Traduzione dal Tedesco all’Italiano a cura di Thomas Lietfien]

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Carl Wilhelm Macke

È nato nel 1950 a Cloppenburg in Bassa Sassonia nel nord-ovest della Germania. Oggi vive a Monaco di Baviera e il piu possibile anche a Ferrara. Lavora come scrittore e giornalista. E’ Segretario generale della rete globale “Giornalisti aiutano Giornalisti (www.journalistenhelfen.org) in zone di guerra e di crisi, e curatore dell’antologia “Bologna e l’Emilia Romagna”, Berlino, 2009. Amante della pianura.

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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