Una vecchia macchina da cucire se ne sta lì immobile, seria, quasi attenta e pensierosa, commossa dal solo ricordo di quella anziana nonna che, fino all’ultimo, le aveva accarezzato le membra stanche. Sembra pensare proprio a quella nonna che un tempo, da giovane, con lei aveva cucito anime spiegazzate e ricamato sogni che volevano rimanere impressi su bianchi vestiti da sposa. Merletti che avevano accompagnato all’altare tante belle ragazze, orli di pantaloni che avevano aiutato i loro sposi a sembrare più ordinati ed eleganti.
Dopo la seconda guerra mondiale si cuciva a mano, e lo si è fatto per molto tempo, si preparavano le giornate più importanti con fili, perline e ricami, si sopravviveva alle difficoltà economiche anche andando dalle sartine di fiducia. Che con abilità, pazienza, creatività e fantasia ti rendevano belle e molto più che presentabili, copiavano i modelli dei primi numeri di Vogue (fondato nel ben lontano 1892…) o delle pagine fresche e patinate che arrivavano dalla vicina Francia. Anche mia madre mi ha sempre raccontato di come si cercava la bellezza lontano, di come si pagavano a rate quei vestiti luccicanti per i balli della città, dove la gioventù ferrarese s’incontrava vociante e guardava speranzosa al futuro che si profilava. Mi piace ascoltarla.
Quelle macchine da cucire allora lavoravano a pieno ritmo, un ritmo che ticchettava e batteva veloce sulle note di giorni speranzosi e giovani volonterosi di risollevarsi. Le cuciture scorrevano e scivolavano su velluti, crine e cotoni colorati, i filati intessevano storie nuove. Se anche ci si pungeva un attimo, poco importava, si stava costruendo un pezzo d’Italia, si preparava una bella gioventù a presentarsi al mondo splendente e coraggiosa, con la voglia di sposarsi, di fare figli, di lavorare, di migliorare, di crescere, di vedere il mondo. Con quei bei vestiti cuciti a mano, con quegli allegri manichini che sorridevano dalle vetrine colorate ma semplici si guardava lontano. C’era la speranza. E mentre tutto questo avveniva per le strade e nelle menti di ogni italiano, le sartine cucivano, cucivano, inventavano, disegnavano, tagliavano. Solo con le loro mani screpolate, le loro forbici taglienti, le loro idee lungimiranti. E tutto nasceva, una nuova alba vedeva il giorno.
Oggi rimane solo qualche vecchia macchina da cucire, messa lì come un cimelio, ma per qualcuno è ancora un ricordo non troppo lontano.
Perché anche gli oggetti hanno una storia e un’anima. Perché questi oggetti stanno lì per ricordarci quel che eravamo, quello che siamo stati, un paese che si è risollevato ma che fatica ad andare avanti, ora. Perché ci vorrebbero ancora, forse, tante macchine da cucire e tante sartine, a ricucire un bel pezzo di passato che non c’è più.
Fotografia della macchina da cucire di Anna Pirazzi
Simonetta Sandri
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Caro lettore
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
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