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Bandiere, striscioni, un cappellino, la sciarpa coi colori della società, la trombetta, la vuvuzela (ve la ricordate? Quella che ci ha stordito e reso antipatici i mondiali di calcio in Sud Africa), fischietto e – per chi va “alla Spal” allo stadio Mazza di Ferrara – l’immancabile cuscino bianco-azzurro per il seggiolino. Questo è l’elenco dei ferri del mestiere del tifoso, che deve essere anche dotato di: voce, per cantare o per commentare; conoscenze provate di gnoseologia delle dinamiche societarie e del mercato; diploma di studi di semantica degli schemi di gioco; una laurea in storia e civiltà delle sua squadra del cuore, deve aver superato i test in metrica dello slogan azzeccato e – dulcis in fundo – deve avere una comprovata esperienza sul campo, pena l’esclusione. Perché, si sa, la passione per uno sport ti muove per il mondo ma non sono ben visti i tifosi occasionali.
Essere un tifoso è una cosa seria. Qualcuno paragona il tifo sportivo ad una fede, in realtà lo fanno soprattutto i sociologi appellandosi all’estremismo, alla società senza valori quando non sanno più spiegare perché, nonostante le regole e i divieti, le tifoserie diventano violente, ma lo fanno anche gli stessi tifosi che sono passati da bambini dalla parrocchia rionale alla curva della loro squadra. Qualcuno lo ha trasformato davvero in fede : i tifosi di Diego Armando Maradona hanno fondato la Iglesia Maradoniana (la Chiesa Maradoniana), culto parodistico che conta seguaci in più di 60 paesi e 600 città nel mondo, si dice siano più di 120.000, inclusi calciatori illustri come Messi e Ronaldinho.
Qualcun altro ne fa una ragione di vita e c’è invece chi la definisce una malattia. Lo ammetteva anche Pier Paolo Pasolini: “Non ha importanza dove si è nati, quando come e dove si sono avuti i primi approcci con il calcio, per diventare un appassionato, un tifoso. Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita. Io abitavo a Bologna. Soffrivo allora per questa squadra del cuore, soffro atrocemente anche adesso, sempre.”.
Sta di fatto che i tifosi spesso sono materia di discussione quanto o più della stessa squadra che sostengono. Nascono come funghi siti web e pagine dei social media dei gruppi, spesso molto movimentate e caotiche ma che aprono una finestra interessante sulla tipologia umana dei tifosi, specie di quelli “di casa nostra”.
Prendiamo i supporter ferraresi della Spal 2013 e Bondi Pallacanestro Ferrara. I primi, che vedono la loro squadra capolista in Lega Pro, si sono visti negare dai prefetti delle città ospitanti il diritto di andare a seguire i loro beniamini nelle trasferte di Mantova e Macerata. A favore dei tifosi bianco-azzurro si sono schierati il sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani e l’assessore allo Sport, Simone Merli. “Ci sembra assurdo penalizzare le persone che hanno piacere e voglia di vivere un momento sportivo importante per la nostra città. Si potevano pensare soluzioni alternative considerando che i tifosi ferraresi (uomini, donne e bambini) sono serenamente appassionati della loro squadra”, hanno stigmatizzato da Palazzo Municipale. Nel frattempo la tifoseria si sta organizzando sul web: lì dove non saranno ammessi invitano ad andare alla stadio i tifosi o i simpatizzanti, o gli amici dei simpatizzanti residenti fuori dall’Emilia Romagna. E’ una forma di protesta ma anche un tentativo di far sentire a presenza ferrarese sul campo ai “ragazzi”.
I tifosi della pallacanestro ferrarese, invece, non vivono un momento felice: la squadra sta andando malissimo, a dirlo è la classifica, e loro sono insistentemente concentrati sulle vicende della società, protestano, si fanno desiderare sulle tribune, contestano apertamente la mascotte della squadra, un cappellaccio gigante…
Ma il tifo quanto fa bene allo sport? Gli atleti cosa sentono, cosa gli arriva? Il tifo è davvero ‘il dodicesimo uomo in campo?’. Lo abbiamo chiesto ad un atleta storico, Luigi ‘Gigi’ Pasetti, classe 1945, che ha giocato nella gloriosa Spal della presidenza Mazza in serie A, con Fabio Capello ed Edoardo ‘Edy’ Reja, ma anche con la Juve e il Palermo alla fine degli anni sessanta. ‘Fa bene, fa molto bene allo sport. Il tifo dà morale, carica, per i giocatori è importante perché in campo arriva il sostegno, spinge… fa la differenza. Non è un caso che tutte le squadre statisticamente hanno più possibilità di vincere quando giocano in casa. E poi fuori casa, beh, quando un giocatore è equilibrato sa che nel campo avversario non dovrà ascoltare i tifosi dell’altra squadra. Ci vuole un orecchio selettivo: a me funzionava quando ero in campo, sentivo solo le voci e i cori dei nostri tifosi, il resto scompariva. Poi, questa caratteristica tutta italiana che i tifosi mettano – o pretendano – di mettere bocca negli affari societari della propria squadra del cuore è un’arma a doppio taglio. Quando le cose vanno bene si crea un bel rapporto di reciproco sostegno, quando poi le cose non girano bene nascono i dissensi : qua un presidente capace sa dare ascolto alle idee del suo tifo ma non si fa certamente condizionare, almeno questo è quanto accade nello sport ferrarese”.

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Ingrid Veneroso


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di Piermaria Romani

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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