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E’ noto che le cattive notizie attraggono l’attenzione di più di quelle buone. Ogni giornalista lo sa: le cattive notizie aumentano le tirature dei quotidiani e alzano gli ascolti alla tv. Persino le previsioni di drammatiche nevicate a bassa quota, piogge torrenziali, freddo polare e così via (che tra qualche mese saranno rimpiazzate dalle previsioni sulla siccità) sembrano produrre un certo “godimento”. Si intuisce che in questi annunci non è in gioco il servizio, ma lo spettacolo della paura.
I telegiornali fanno quotidianamente simili operazioni, alzando la voce prima di tutto e creando un clima di emergenza, anche con il concitato incedere del discorso. L’apertura del Tg5 ne è un esempio, ma i talk show non sono da meno! Certo, mi si dirà, la situazione non è rasserenante e basta un po’ di maltempo perché si verifichino frane disastrose. Ma c’è anche altro.
Se mi interrogo sulle ragioni trovo molte risposte, nessuna da sola completamente convincente. Innanzitutto, paga l’attenzione per ciò che è sensazionale, fuori dalla norma, straordinario, si tratti di un fenomeno naturale, di un atto di follia umana, di una disgrazia imprevedibile. Inoltre, il dolore muove sentimenti di empatia e, in un certo senso, mette in prospettiva e ridimensiona le fatiche e i guai quotidiani.
La commozione per le disgrazie altrui ci fa sentire buoni a poco prezzo. È noto che i video diventano più facilmente virali quando suscitano commozione: si sa che siamo più solidali con il dolore altrui, in cui specchiamo una nostra eventuale sofferenza, che con la felicità dei nostri simili, che sollecita emozioni di invidia.
Gli eventi drammatici hanno un effetto simile a quello di un thriller: ci immergiamo nel film con emozione, avvertiamo realmente paura, come se fossimo dentro lo schermo, ma al termine della visione riusciamo a prendere le distanze e ci ritroviamo nella nostra realtà quotidiana, che a quel punto ci appare rassicurante e, persino, molto meno noiosa di quanto la pensassimo poco prima.
La paura è un’emozione che paralizza e lascia impietriti. È un’emozione ben diversa da quella correlata all’incertezza, alla difficoltà di valutare e prevedere le conseguenze di diversi corsi di azione. La paura, in un certo senso, ci deresponsabilizza. In un tempo in cui sentiamo crescere l’incertezza, la paura può diventare rassicurante, perché toglie la responsabilità di agire, di scegliere il corso di azione da intraprendere, nella vita privata come in quella pubblica.
La preferenza per le cattive notizie si declina su molti piani. Ad esempio, provate ad affermare che i tassi di criminalità comune sono in Italia molto inferiori a quelli di molti Paesi europei, provate a smentire, con dati alla mano, la convinzione che negli ultimi anni sia aumentata la criminalità diffusa; provate a dire a genitori di preadolescenti che la probabilità di stalking on line è di gran lunga più remota di quella che si verifica nella scuola o nei gruppi di pari; provate a dire agli insegnanti che non vi è alcuna ragione di avere paura che le tecnologie siano dannose per i minori, se loro stessi sono in grado di alimentare buone relazioni e capacità riflessiva. In tutti questi casi riceverete risposte ostili, in quanto contrarie ad una consolidata, quanto infondata, certezza.
La paura è una risposta pigra all’incertezza, una scorciatoia facile di fronte alla difficoltà di comprendere e fronteggiare le questioni del proprio tempo.

Maura Franchi (Sociologa, Università di Parma)

Laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Marketing del prodotto tipico, Social Media Marketing e Web Storytelling. I principali temi di ricerca riguardano i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@unipr.it

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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