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Premessa necessaria: questo non è un toto presidente.
A meno di 10 giorni dall’inizio del rito elettorale, sembra che il Cavaliere (ma che grinta il ragazzo! ce ne fosse uno di sinistra della stessa tempra) si sia rassegnato. Così, sul nome di chi riuscirà a sedersi sulla poltrona presidenziale è ancora buio pesto. Come da tradizione.

Accantonata almeno per un po’, e con sollievo generale (anche del sottoscritto) l’ubiqua informazione pandemica, tutto il corpo d’armata giornalistico dei canali televisivi si è buttato a corpo morto sul genere preferito dagli italiani: il gossip, la chiacchiera senza fine e senza meta. Del resto, il tema è oscuro e complicatissimo: l’elezione di un presidente della repubblica in Italia è la versione secolare dell’elezione di un papa in Vaticano. Una materia più adatta ad aruspici ed indovini che a politologi e scienziati parlamentari. Anche se né gli uni né gli altri, lo dice la storia, ha mai azzeccato in anticipo il nome vincente.

Niente pronostico quindi, ma l’immagine di quella sedia vuota suggerisce un gioco divertente e, come si vedrà, abbastanza istruttivo. Dare un voto ai  nostri presidenti passati (o almeno agli ultimi regnanti) non è un esercizio inutile. Con l’avvertenza che il mio giudizio potrebbe non concordare con il vostro.

Cominciando dall’ultimo, Sergio Mattarella, di antico ceppo siculo e democristiano, misurato, attento, democratico, affabile, quasi affettuoso nella sua apparente timidezza e legnosità: Sergio Mattarella merita un 8 ½. Giorgio Napolitano, di stretta fede amendoliana (corrente migliorista, l’estrema destra del vecchio Pci), molto investito nella parte, quasi regale (una irriverente storiella lo farebbe discendere dai lombi di Re Umberto), esperto di tutte le regole e i giochetti parlamentari e di partito. Comincia bene il suo settennato, ma poi deborda sempre più, fino a trasformare un rospo qualsiasi, il famigerato Monti, in Senatore a vita e Presidente del Consiglio. Infine, per servire lo Stato e per sua propria ambizione, si fa rieleggere presidente: a Giorgio Napolitano un 7-. Carlo Azeglio Ciampi (il più grande presidente della nostra storia) un 10 tondo tondo. Partigiano, con radici in Giustizia e Libertà, cuore, stile e cervello all’unisono: è lui che ha aperto le porte del Quirinale al popolo, ed è sotto la sua presidenza che gli italiani si sono sentititi, per l’ultima volta, un popolo.

E meglio sarebbe fermarsi qui, agli ultimi 22 anni, perché tornando al XX Secolo i voti si abbassano decisamente. Oscar Luigi Scalfaro: un 5 stentato per un furbo democristiano nei panni di un prevosto di campagna, il Gladiatore e picconatore Francesco Cossiga: un 3 senza se e senza ma. Prima di lui, una inaspettata boccata di ossigeno: al confinato di Ventotene Sandro Pertini: un 9 per amore, per il suo grande passato, per la libertà di giudizio degna di un ragazzino. Prima di lui la vergogna di Giovanni Leone: un bel 4.

Ecco, da questa pagellina, una breve conclusione. Che può valere come riassunto del primo scorcio di secolo di storia patria.
In un Terzo Millennio che, dall’attentato alle Torri Gemelle alla pandemia più feroce degli ultimi 100 anni. Passando per governi e governicchi di svariati e intercambiabili colori. In un’ Italia spazzata dai venti del Berlusconismo, dal Renzismo, dai vari populismi. In un Paese fiaccato da 10 anni di una crisi economica devastante, dove la diseguaglianza ingrassa a dismisura e la povertà si allarga. Con una classe politica paracadutata da Marte, lontana anni luce dai cittadini. Con uno Stato e una Giustizia sempre meno credibili e meno rispettati. Con un popolo confuso e scazzato, dove è cresciuta l’intolleranza, il razzismo verso lo straniero, l’odio contro il diverso, la violenza sulle donne…

Con tutto questo – viene davvero da chiederselo – come ha fatto la povera Italietta, non tanto a rimanere “una e indivisibile”, ma a continuare ad essere, bene o male, una “Repubblica democratica”?
Come abbiamo fatto non disfarci in dieci pezzi? Chi ci impedito di colare a picco, noi e tutta la baracca?

L’unica risposta che mi viene è in questi tre nomi. Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella.

Aspettiamo i prossimi 10 giorni. E accendiamo un cero. Chiunque sarà eletto tredicesimo presidente, uomo o donna, possiamo solo pregare che anche questa volta, dalle alchimie di partito, dai veti incrociati, o da un qualche Spirito Santo in libera uscita, venga fuori dall’urna un altro salvatore della patria. Un primus inter pares che rappresenti il buono e il bene che ancora esiste e resiste. Una persona per bene che rappresenti ognuno di noi e ci rappresenti, tutti insieme, davanti all’Europa e al mondo.

Con un dubbio. Se anche la fumata bianca ci fosse favorevole – e non si può chiedere troppo alla fortuna – temo che questa volta nemmeno un presidente-papa sarà sufficiente ad evitare all’Italia e al popolo che la abita un definitivo declino civile. Senza politica, senza idee, senza ideali (e qui oggi stiamo, esattamente qui) nessuno crederà più nell’Italia. Neppure noi stessi.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

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Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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