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I believe very urgent to change our ancient, terrible and modest italian language: we must speak and write american, not american of William Faulkner, too much aristocratic, but the slang of the
metropolitan shantytown and of the cockney-men. It’s necessary to change now because people doen’t understand if you speak italian, all is yankee, also my underpants are yankee and I become a poor little italian idiot, so Renzi says. Do you know Renzi Matteo? He is a young man who doesn’t love democracy, oh my God!

Mi sono accorto a questo punto che stavo scrivendo nella paccottiglia linguistica che contraddistingue la comunicazione scritta e orale tra gli italiani oggi, una sorta di parlata da cui il vecchio, caro idioma di Manzoni depurato in Arno è stato bandito con ignominia per correre velocemente verso un linguaggio che non rappresenta più l’unità culturale di un Paese, ma è il composto di varie ignoranze, le quali, unite in un fascio, determinano l’incomparabile confusione (scusate: casino) di oggi. Pochi giorni fa, leggendo il mio giornale del mattino, mi è scappato l’occhio su una pubblicità di oltre mezza pagina, oh non c’era una sola parola d’italiano! Allora ho chiesto alla nostra collaboratrice domestica moldava, la Dora benedetta, di che cosa si trattasse: non so, mi ha risposto, l’italiano non lo conosco ancora bene. Meno male, ho pensato, siamo in due. Ma ci si immagina quando la Dora vede il telegiornale e affettati signori in grigio fumo di Londra le parlano di spending review? Se dicessero revisione della spesa, povera Dora!, anche lei capirebbe, invece niente, oggi è necessità categorica tagliar fuori dal linguaggio del potere il numero più possibilmente largo di persone, non si sa mai che si aumenti la quantità di coloro che comprendono. But what is fucking around Mr Renzi (letteralmente che cacchio c’entra tutto questo con Renzi?, ma vedete com’è volgare?). C’entra, c’entra, Renzi ormai c’entra sempre: c’è gente alla quale il nostro ineffabile Presidente appare ogni giorno circondato da corone di rose in un effluvio di profumi, è come la Madonna Renzi. Oh my God!

Carissimo Dario Franceschini, ho conosciuto alcuni dati sulla cultura in Italia che definire inquietanti è davvero ridicolo: dunque, nel nostro colto Paese oltre 31 milioni di cittadini non leggono un libro, un solo libro, nell’arco di un anno; i quotidiani perdono copie ogni giorno, se ne vendono meno di quanti ne venissero diffusi nel 1924; le donne, che dovrebbero rappresentare nell’immaginario dei nostri intellettuali la forza rivoluzionaria, proprio non leggono, al massimo le didascalie di quei giornaletti settimanali di pettegolezzo, unica merce ‘culturale’ in allarmante aumento; peggio ancora, il 6 per cento della popolazione non sa leggere né scrivere. Ma quel che più spaventa, caro Dario, è quell’indagine compiuta sui tuoi colleghi in Parlamento, i quali, alle domande culturali rivolte loro, hanno dato risposte alla Totò dei tempi migliori, come “chi era Mao?”, risposta: il capo di una setta religiosa. E in questo paese vogliamo che la signora Dora, tra l’altro bravissima cuoca – non è poco – sappia che cos’è il fiscal drag!

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Gian Pietro Testa


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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