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Ricordo un tempo, quando si pensava secondo un luogo comune ereditato da Rinascimento, che il Medio Evo fosse epoca di oscurantismo, ignoranza e superstizione, dimenticando, complice il razionalismo settecentesco, che in realtà in quell’età vissero e operarono due maestri della cultura e della civiltà di ogni tempo: Dante e Giotto. Chi non ricorda il libro di Roberto Vacca Medioevo prossimo venturo che negli anni Settanta del secolo scorso ebbe un impatto talmente forte da far sì che quel titolo fosse usato come la minaccia permanente di un ritorno al passato oscurantista più tenebroso? Così scrive Vacca, nella riproposta on line del suo libro più fortunato: “Ma la congestione ha colpito ancora, amplificata da errori nei programmi di computer, ed ha causato blocchi nei sistemi computerizzati di telecomunicazioni degli Usa con gravi conseguenze per i telefoni, i cellulari e per i sistemi di controllo del traffico aereo. In un futuro prossimo la congestione potra’ minacciare anche Internet. I rischi tecnologici ancora esistono e sono più minacciosi proprio in certi contesti che il grande pubblico ignora. I grandi sistemi tecnologici proliferano, senza piani globali e sempre più producono impatti l’uno sull’altro. La instabilità e il blocco di un sistema (ad esempio le reti telematiche o quelle energetiche) potrebbero produrre a cascata blocchi di altri sistemi nelle nazioni piu’ avanzate ove il progresso viene progettato e realizzato. In conseguenza potremmo tornare di nuovo al medioevo”.

Ma non importa pensare ad una immane catastrofe tecnologica, per vedersi ripiombare in un’epoca dove Medio Evo rimane simbolicamente la minaccia di una regressione nell’oscurità di un’epoca ritenuta la negazione della chiarezza mentale e della conquista più alta a cui il nostro tempo rimane debitore: la democrazia. Le immagini ci consegnano la foto di un disgraziato di fede cristiana a cui in qualche paese di integralismo islamico viene tagliata la mano con cui ha osato toccare il Corano, ma ciò che produce una scossa ancora più forte mista di ribrezzo e paura è ciò che accade nella patria di Bacone e degli illuministi: l’Inghilterra. Riferisce Enrico Franceschini su “La Repubblica” del 26 marzo che “nell’intento di soddisfare il populismo da tabloid” i detenuti delle carceri inglesi non possono più ricevere libri. Divieto che solo ora si conosce dopo la denuncia di un blog sui diritti umani; ordinamento che è stato emanato dallo stesso ministro della Giustizia Chris Garyling che si giustifica secondo questo ragionamento (se così si può chiamare ciò che nulla concede alla ragione) per cui i detenuti possono tenere in cella non più di 12 libri ottenuti o prendendoli in prestito dalla biblioteca del carcere (notoriamente e desolantemente vuote) oppure ottenendo un certificato di buona condotta che abolirebbe il divieto. E questo nella culla della democrazia. In altri termini io non solo tolgo la liberta del corpo ma anche quella della mente catalogando i libri come un “premio” Credo che mai sia stata concepita legge più iniqua. Come sottolinea Franceschini nemmeno a Guantanamo si toglie il diritto di leggere ai prigionieri.
Naturalmente la protesta si è concretizzata in una nota di scrittori come Pullmann o Haddon, autori di best sellers di fama internazionale, in cui viene sottolineato che il provvedimento del ministro “è uno degli atti più maligni, disgustosi, vendicativi di un governo barbaro”. Altro che Medioevo prossimo venturo! Quasi una vendetta contro la cultura o l’arricchimento delle menti ormai divenuti strumento politico da negare o proibire. Dai crolli di Pompei alla noncuranza con cui si fa strame del nostro patrimonio artistico in Italia, e ora nella grande Inghilterra la proibizione dello strumento di verità somma contenuta nei libri. Così idiotamente ridiamo sul misunderstatement “conciso-circonciso” del goffo pentastellato Tripiedi poiché ci sentiamo padroni di una lingua e di una dignità culturale che solo la lettura può dare e che nella patria di Shakespeare viene negata, perché la prigionia deve essere punizione e non redenzione per usare toni un pochino meno banali di un twitter. Vergogna! Questo è il populismo, la cafona e irritante presunzione di ometti che ci vogliono atterrire con le proibizioni, perché si sentono investiti da un potere e da una dignità usati male e violentemente. Si sono sentite stasera le leggi del guru G. di Genova per l’ammissione al parlamento europeo dei “suoi” candidati costretti alla legge del taglione della volontà espressa dai twittatori che non perdonerebbero mai un atto di insubordinazione o di protesta delle “leggi” pena il decadimento e la multa di 250 mila euro. Una imposizione dettata dalla necessità di attenersi alla volontà irrequietà del “popolo”.
Europa attenta: stai diventando la periferia del mondo.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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