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Grida nell’oscurità, la silhouette di una schiera che batte il ritmo con i piedi sulle tavole del palcoscenico. Poi le luci si alzano e capiamo che quella che sembrava la preparazione a un combattimento non è altro che la preparazione per una danza.
È l’inizio di “Badke” – a Ferrara in prima nazionale e in esclusiva per l’Italia – la prima coreografia di “Focus Mediterraneo”, il ciclo di approfondimento della Fondazione Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara all’interno della rassegna di Danza Contemporanea. Un’ora di pura energia, di danza gioiosa e irrefrenabile, tanto più vitale in quanto costantemente minacciata da un indefinito e indefinibile senso di urgenza e precarietà.

“Badke” è una rielaborazione di Dabke, danza popolare palestinese che accompagna i matrimoni e le celebrazioni festive, ma anche danza espressione dell’identità nazionale che racconta di un popolo in guerra, intrappolato. Da qui i dieci performer palestinesi, con i coreografi Koen Augustijnen e Rosalba Torres Guerrero e la scrittura drammaturgica di Hildegard De Vuyst della compagnia belga Les Ballets C de la B diretta da Alain Platel, sono partiti per un progetto di ibridazione e contaminazione, inserendo varie altre forme di espressione, dall’hip hop, al modern, al balletto classico fino alle arti circensi. “Badke” è diventato così il manifesto del desiderio dei Palestinesi di appartenere a qualche luogo, ma allo stesso tempo di essere parte del mondo contemporaneo, oltre i ristretti confini della propria terra.
Mano a mano alcuni interpreti escono dalla catena della danza tradizionale, si staccano dal gruppo, eseguono assoli o duetti, acrobazie e combattimenti di capoeira, e poi si ritorna al dabke, al gruppo che esegue i passi tradizionali. Ecco la decostruzione e ricomposizione del dabke sotto i nostri occhi, ognuno afferma la propria identità, la propria appartenenza alla contemporaneità, ma sempre rimanendo fedeli alle proprie radici, tra autodeterminazione e senso di comunità.
“Badke” è anche metafora della situazione del popolo palestinese. Questa vorticosa e vulcanica gioia di vivere è intrappolata dalla ripetizione della musica: 15 minuti di ‘mijwiz’ di Naser Al-Faris, uno dei più famosi e popolari interpreti del badke per matrimoni, originario della West Bank, ripetuti e stirati da Sam Serruys per arrivare ai 50 minuti della performance. I ballerini vivono un’eterna festa che diventa una gabbia da cui non possono uscire: metafora di una condizione esistenziale da cui, per ora, non c’è scampo.
E quest’energia vitale diventa ancora più intensa, più urgente, perché è una strategia per dimenticare, e nella migliore delle ipotesi superare, le difficoltà e la violenza della vita quotidiana, che di tanto in tanto vediamo apparire all’improvviso in alcuni soli, nelle interazioni fra ballerini, oppure materializzarsi nell’interruzione improvvisa della coreografia: la luce se ne va, la musica si interrompe, ma dopo qualche momento iniziale di tensione e smarrimento sono gli stessi interpreti a cantare e darsi il ritmo battendo su ciò che hanno a disposizione, non importa se è il distributore dell’acqua su fondo del palco.
Il messaggio che i ballerini ci lasciano è: “Non ci faremo abbattere. Balleremo fino allo sfinimento”. E tornano alla mente le parole di Pina Bausch: “Balliamo, balliamo, altrimenti siamo perduti!”.

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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