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Non ha torto l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, monsignor Luigi Negri, quando dice che denatalità e crisi economica sono due fattori legati tra loro.
Non è una novità, infatti, che l’Italia abbia un tasso di natalità fra i più bassi al mondo e che sono gli stessi economisti a dire che se oggi sette lavoratori, in media, sostengono i costi di tre pensionati, fra non molto, se non cambiano le cose, il rapporto potrebbe rovesciarsi mettendo in serio rischio la sostenibilità dello stato sociale e con esso una conquista fondamentale e consustanziale dello stesso patto fondativo della Repubblica.

Il problema non sta, quindi, nel contestare una verità nota da tempo e che trova conferme in una letteratura ormai fondata in campo economico, ma quando le verità si dicono a metà per riaffermare la netta ed esplicita condanna dell’aborto.
Solo per citare un esempio, l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, il 28 gennaio scorso lancia un’iniziativa in collaborazione con l’università di Chieti sul tema della famiglia e presenta al governo una serie di domande. Il pastore, e noto teologo, racconta l’esperienza in un proprio intervento su Il Sole 24 Ore (8 febbraio 2015).

Il contesto è il medesimo sul quale la Chiesa cattolica è chiamata da papa Francesco a riflettere con i due sinodi: quello straordinario del 2014 e quello ordinario in agenda nell’ottobre 2015.
Dopo una prima istanza sul concetto di famiglia come valore pubblico nel bene di tutti, ne segue una seconda che chiede garanzie e condizioni necessarie, a cominciare dalle urgenze abitative a dal lavoro, “la cui mancanza – scrive il pastore – ferisce la dignità della persona umana e colpisce al cuore (al cuore!) le possibilità di sussistenza e di crescita della famiglia”.
Al terzo posto (l’ordine dell’elenco non pare casuale) il tema della denatalità che “deve essere superata – prosegue Forte – a livello culturale e con opportuni interventi di politica sociale che favoriscano il coraggio degli sposi nell’aprirsi al dono di nuove vite”.

Solo all’interno di questo contesto incontriamo l’appello ad una cultura della vita e contro l’aborto, giudicato “una sconfitta per tutti”. Istanza subito corredata con l’invito ad accompagnare le famiglie “con interventi legislativi a loro favore, proporzionati al numero dei figli e alle necessità connesse alle condizioni lavorative dei genitori”.
Un impegno rafforzato, inoltre, dalla necessità di una “sfida educativa” nei confronti delle nuove generazioni, a partire dalla “specifica cura da destinare alle possibilità lavorative da offrire ai giovani”, il cui tasso di disoccupazione “è ancora talmente elevato – notare le parole usate – da costituire una gravissima urgenza per il Paese intero”.
Su quest’ultima istanza l’arcivescovo di Chieti-Vasto cita una frase di papa Francesco: “Non si permetta che ai giovani sia rubata la speranza!”, per invitare tutti – governo, società civile e comunità ecclesiale – a prestarvi orecchio, “pena il declino – attenzione – etico e sociale della vita di tutti”.

L’impressione è che con l’insistenza sui temi sociali (lavoro, casa, legislazione) entro i quali comprendere la cultura della vita, si voglia delineare un quadro etico più complessivo e inclusivo della questione, ben più vicino, e dentro, alla condizione umana, di quanto non riesca a fare la riproposizione di un principio (no all’aborto) che, per quanto legittimo, risulta incurante del contesto fatto di povertà, limiti e ingiustizie, che costituisce il concreto e ordinario campo di vita delle persone.
Da un lato, quindi, si avverte la volontà, pensata e ricercata, di porsi su un terreno di dialogo, condivisione e collaborazione con la condizione umana, per cercare insieme vie d’uscita da crisi e difficoltà, dall’altro c’è il piano, alla fine, del giudizio, destinato a misurare distanze, diversità, differenze, lontananze da principi e valori.

Per un verso, il voler fare i conti con la realtà umana, più o meno piacevole che sia, per l’altro la riproposizione di come essa dovrebbe essere, indicando dalla cattedra la direzione di marcia.
Il gesto storico delle dimissioni di Benedetto XVI e lo stile della misericordia di papa Bergoglio hanno detto e dicono cose chiare sulle sfide che attendono la Chiesa cattolica nel mondo contemporaneo, su come affrontarle e sul fatto che, come intuito da papa Roncalli, se la Chiesa vuole essere Magistra non deve dimenticare mai di essere prima Mater.
L’autorevolezza di grandi personaggi come Teresa di Calcutta è il frutto di decenni di testimonianza e fu lo stesso papa Paolo VI a dire che questo tempo ha più bisogno di testimoni che di maestri.

Del resto, se la legislazione nazionale sulla famiglia in generale è giudicata così insoddisfacente e ancora lontana dagli stessi standard europei, deve pur essere un problema anche per la stessa Chiesa cattolica che proprio in Italia ha la propria sede storica.
E continuare a riproporre con ostinazione la retta via sul piano astratto del richiamo ai principi non negoziabili, per quanto sacrosanti e appartenenti al deposito dello stesso Magistero, ha di fatto mostrato il fiato corto di alleanze con chi, strumentalmente e per rendita politica, si è fatto difensore per via istituzionale e formale di questi valori, ma prestando il fianco all’incoerenza di essere talmente favorevole alla famiglia da averne spesso, molti di essi, più di una.

L’ultima sortita di monsignor Luigi Negri, con le code polemiche scatenate in questi giorni, ha avuto sì la ribalta internazionale addirittura del Washington Post, come hanno segnalato i direttori di Estense.com e della Nuova Ferrara, Marco Zavagli e Stefano Scansani, (Abortions caused Italy’s economic crisis, archibishop claims), ma forse la chiesa ferrarese preferirebbe ben altra visibilità.

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Francesco Lavezzi

Laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, insegna Sociologia della religione all’Istituto di scienze religiose di Ferrara. Giornalista pubblicista, attualmente lavora all’ufficio stampa della Provincia di Ferrara. Pubblicazioni recenti: “La partecipazione di mons. Natale Mosconi al Concilio Vaticano II” (Ferrara 2013) e “Pepito Sbazzeguti. Cronache semiserie dei nostri tempi” (Ferrara 2013).

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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