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“Il governo deve parlare con i sindacati, ma è arrivato il momento che ognuno faccia il suo mestiere. I sindacati trattano con gli imprenditori”. Così il Presidente del Consiglio Matteo Renzi nello studio televisivo di turno, in questo caso a Otto e mezzo, ha commentato l’incontro fra il governo e le parti sociali sulla legge di stabilità.
Da queste parole sembra che per il nostro capo del Governo il lavoro sia una questione privata, che riguarda solamente i rapporti fra lavoratori e imprenditori nelle aziende, e non un momento di formazione del sé nella società, una dimensione fondamentale della cittadinanza.
Non avendo io nessun titolo per smentirlo, lascio che a farlo siano l’articolo 1 della nostra Costituzione e la lucida interpretazione che ne ha dato venerdì, in occasione della presentazione alla biblioteca Ariostea del volume “Ripartiamo dal lavoro. Anatomia, riconoscimento e partecipazione”, il professor Carlo Galli, celeberrimo studioso delle dottrine politiche dell’Alma Mater, presidente dell’Istituto Gramsci di Bologna e senatore “cooptato dal Pd di Bersani per presunti meriti accademici senza nemmeno le primarie”, come si è definito egli stesso con una buona dose di autoironia.
Cosa significa: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”? Perché i nostri costituenti hanno esordito così? Secondo Galli due sono i motivi. Prima di tutto questa frase sottolinea che “il soggetto si forma attraverso il lavoro”, secondo evidenzia che “il lavoro è legame sociale”. Dunque il lavoro è occasione di crescita del soggetto attraverso la propria creatività, soggetti tra cui poi crea relazioni: “Il problema è come e a quale fine tiene insieme gli uomini”. Secondo i costituenti “il lavoro è il cuore della politica” perché “vi si manifestano i principali rapporti di potere che regolano la società, che poi vengono istituzionalizzati nelle forme democratiche”.
Se riconosciamo e accettiamo questa “originaria politicità del lavoro”, sancita dalla nostra Carta Costituzionale, allora “non possiamo accettare che il lavoro sia una questione che non riguarda le istituzioni, ma solo i cittadini come privati lavoratori e i datori di lavoro, i loro diritti non possono essere trattati come ostacoli al libero e regolare funzionamento della macchina produttiva, mentre il compito della politica e del governo è solo ‘raccogliere i feriti’, cioè aiutare chi perde il lavoro attraverso gli ammortizzatori sociali”.
Questa è una concezione neoliberista in contraddizione con la Costituzione, che delinea un modello di società “non fondata sul mercato”, ma appunto sul lavoro come una delle dimensioni principali di attuazione della partecipazione dei cittadini alla vita della comunità.
Potremmo fermarci qui, ma vorrei aggiungere un altro paio di osservazioni sul ruolo della Repubblica in tema di lavoro: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori” (art. 35 commi 1 e 2), “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3 comma 2).

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Federica Pezzoli

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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