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Nel bene e nel male ci sono forze molto potenti che spingono verso la creazione di un ambiente di vita sempre più artificiale all’interno del quale già dobbiamo, e sempre più in futuro dovremo, ripensare il nostro comportamento, le nostre modalità di interazione e l’etica in base alla quale queste potrebbero essere regolate. Una di queste forze, importante quanto sottaciuta, è l’umanissima paura: un’emozione che è diventata una merce tra le più importanti nell’arena politica e massmediatica.
Sul fomentare e cavalcare la paura si reggono certi populismi e prosperano industrie fiorenti che fanno della prevenzione e gestione del rischio la loro missione, alimentando un circuito in crescita costante che viene giustificato dalle richieste esplicite di buona parte dei cittadini. Non servono dati per rompere questo schema: per rendersene conto è sufficiente osservare e saper ascoltare le conversazioni della gente, seguire le diatribe sui social network.
La paura è una componente chiave del grande gioco dei bisogni su cui si regge la società del consumo coatto: la paura più diffusa si regge sull’ignoranza costantemente alimentata e genera odio e rancore, promuove l’isolamento sociale e la chiusura in clan, ha costante bisogno del diverso irriducibile, del nemico, del male contro cui scatenare la rabbia repressa con tutta la potenza di un apparato tecnologico percepito come neutrale. La paura più profittevole trova un mercato in crescita straordinaria i cui prodotti e servizi sembrano promettere agli occhi del cittadino medio la riconquista a buon mercato del senso di sicurezza perduto.
Che fare dunque di fronte al piccolo furto, all’effrazione, al danno gratuito, all’inciviltà che si manifesta proprio sotto casa? Come reagire all’astio e al timore generati dal bombardamento di violenze, delitti, stupri, assassinii, furti e crudeltà varie che costituiscono la dieta quotidiana proposta da giornali e telegiornali? Molti cittadini non hanno dubbi: dotarsi dei sistemi di sicurezza personale e domestica, chiedere con forza l’installazione di videocamere per il controllo sempre più stretto del territorio, auspicare infine leggi sempre più dure e mirate fatte valere da forze di polizia più veloci ed efficienti. Qualcuno, a onor del vero, chiede anche il diritto di armarsi liberamente ma, almeno per ora, si tratta di minoranza trascurabile.
Quando domina la paura si cercano soluzioni aggressive, si ignorano quelle basate sulla collaborazione, sulla socialità che contraddistingue da sempre gli esseri umani; non si crede più che un senso civico diffuso e profondo possa essere un ottimo deterrente, non si pensa che il modo migliore per tutelare gli spazi, i beni comuni, i luoghi pubblici rendendoli vivibili, sia semplicemente quello di viverli senza trasformarli in non luoghi da controllare tramite le forze di polizia e le tecnologie del controllo.
Ma l’industria della paura alimenta affari, genera profitto e lavoro, risponde perfettamente all’imperativo della crescita, è più vicina all’attuale sentire della gente: sostiene la domanda di servizi privati per quanti se li possono permettere, produce case blindate, quartieri asettici impenetrabili per i più abbienti, antifurto per i meno abbienti; mette a disposizione tecnologie interconnesse per il controllo, ‘device’ mobili che consento il tracciamento sistematico di ogni spostamento di veicoli, animali e persone, videocamere e microfoni per vedere e sentire ogni cosa. Tuttavia, questi sistemi impersonali rischiano anche di alimentare una costante deresponsabilizzazione, una perdita ulteriore della già scarsa educazione civica, un isolamento ancora maggiore delle persone, una perdita di fiducia nell’altro e nelle sue potenzialità genuinamente umane, alimentando la spirale perversa, della sfiducia, dell’insicurezza percepita e della paura.
Sono effetti per certi versi imprevisti e perversi dei nuovi e affascinanti ambienti di vita che si stanno affermando, nei quali infrastrutture digitali sempre più connesse daranno intelligenza crescente anche al sistema degli oggetti: l’internet delle cose, le smart city, la domotica, rappresentano un futuro già presente che ci spinge con forza a ripensare il nostro posto nel mondo, le nostre relazioni, il rapporto con la tecnologia e la natura, le nostre priorità. Che ci spinge forse, a fare i conti fin da ora con le nostre paure evitando che proprio su di esse venga edificata una società ‘tecnogena’ che non potrebbe garantire nulla di buono per l’uomo futuro.

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Bruno Vigilio Turra

È sociologo laureato a Trento. Per lavoro e per passione è consulente strategico e valutatore di piani, programmi e progetti; è stato partner di imprese di ricerca e consulenza e segretario della Associazione italiana di valutazione. A Bolzano ha avuto la fortuna di sviluppare il primo progetto di miglioramento organizzativo di una Procura della Repubblica in Italia. Attualmente libero professionista è particolarmente interessato alle dinamiche di apprendimento, all’innovazione sociale, alle nuove tecnologie e al loro impatto sulla società. Lavora in tutta Italia e per scelta vive tra Ferrara e le Dolomiti trentine.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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