Skip to main content

E’ meglio organizzare workshop o laboratori? Mandare un tweet o un cinguettio? Parlare di argomenti popolari o mainstream?
Il dilemma tra la voglia di usare termini in voga e quella di essere chiari può mettere in difficoltà. Se uno vuole vedersi un film, la scelta è abbastanza ovvia e difficilmente preferirebbe dedicarsi alla visione di una pellicola, ma nemmeno di un lungometraggio. Anche per chi ‘twitta’ non è forse il caso di cominciare a cinguettare. Magari – però – della musica mainstream potremmo fare a meno, e ascoltare semplicemente gruppi o cantanti più di tendenza.
Un angolo dedicato a questa riflessione sul linguaggio e sull’uso o l’abuso di parole in inglese – la lingua straniera dominante – lo riserva il festival Internazionale, a Ferrara nel weekend appena passato, in un incontro organizzato in biblioteca Ariostea. Il titolo è già una bella cosa: “In parole semplici”. Due termini brevi, chiari, in italiano. La scheda informativa precisa poi che l’iniziativa va ad affrontare “Anglicismi, calchi e neologismi. Come tradurre restando dalla parte del lettore”.
A parlare di questo tre esperte come la traduttrice Bruna Tortorella; Licia Corbolante, blogger che per Microsoft si è occupata di terminologia; Serena Di Benedetto, che traduce documenti per la Commissione Europea. Con in più il contributo inaspettato di Tullio De Mauro – il linguista italiano forse più noto, nonché socio dell’Accademia della crusca, l’istituzione che da quattro secoli mette insieme gli studiosi della lingua italiana che fanno un po’ da guardiani per mantenere un italiano pulito e dignitoso.

tullio-de-mauro-linguista
Tullio De Mauro, docente di linguistica e accademico della crusca

Chiarezza per chiarezza, De Mauro interviene per fare notare come già il termine “anglicismi” sia di per sé un eccessivo omaggio alla lingua inglese: “In italiano – dice il linguista, presente tra il pubblico della biblioteca comunale – si dice anglismi, come del resto francesismi o italianismi. Anglicismo è la trasposizione letterale del termine inglese ‘anglicism’”. Ma la gente – si prova a obiettare – ormai usa anglicismo, e non anglismo… “La gente – risponde lui deciso – se proprio deve esprimere questo concetto, dice semplicemente che sono parole inglesi”. Accidenti, ecco quanto siamo sottomessi a questa tendenza a piegare l’italiano verso la predominanza inglese.

bruna-tortorella-traduzione-italiano-inglese-internazionale-ferrara
La traduttrice Bruna Tortorella (foto da Internazionale)

Ma di chi è la colpa di questa dipendenza anglofila? “Una delle cause – spiega Licia Corbolante – può essere la pigrizia, perché si trova un termine già confezionato altrove e si evita di fare la fatica di pensare bene cosa significhi per tirarlo fuori dal mondo da cui proviene e calarlo nel nostro linguaggio. Nella maggior parte dei casi la traduzione è possibilissima ed efficace. Come nel caso di coffee-break. Basta dire pausa-caffè!”. La traduttrice Ue, Serena Di Benedetto, spezza una lancia a favore della capacità di sintesi dell’inglese, pronto a esprimere un’idea in poche e brevi parole, che magari indicano qualcosa di tecnologico e per il quale non c’è un termine equivalente. “E’ il caso di weekend per indicare il fine settimana o dello scanner, che sennò bisognerebbe chiamarlo apparecchio-che-si-usa-per-riprodurre-documenti-o-immagini in formato digitale. Oppure del catering per la ristorazione portata in un posto da una cucina esterna o del badge che si timbra per entrare in ufficio”. Quello – suggerisce però qualcuno in sala – è poi il cartellino. “Sì – ribatte la Di Benedetto – ma ormai è diventato meno usuale chiamarlo così, tant’è che si è creato anche il verbo che indica l’azione di badggiare (anche se non si sa poi bene come si debba scrivere)”. Il rischio, fa notare la traduttrice Bruna Tortorella, è quello di creare termini farlocchi, a forza di usare troppe parole di cui non si padroneggia bene l’origine. “Lo stage – dice la Tortorella – per noi è una specie di tirocinio, ma per americani e inglesi è solo il palco del teatro. Oppure living, derivato dal termine ‘living room’ che vuol dire soggiorno, ma che così spezzato come titolo di una testata di arredamento in realtà definisce solo l’attività di vivere”.

parole-traduzione-italiano-inglese-internazionale-ferrara-giorgia-mazzottiA dar man forte all’inglese, oltre a pigrizia e snobismo, ci si mette – infine – un modello imposto tante volte dall’alto, addirittura dal governo italiano o da definizioni create a livello istituzionale. Ecco allora i ticket, per indicare il contributo da pagare per avere prestazioni sanitarie o farmaci convenzionati. Oppure il Jobs act che definisce la nuova legislazione in materia di contratti di lavoro. Tra gli ultimi nati ci sono gli hot spots per dire campi di raccolta per gli immigrati. In tutti questi casi l’inglese sembra un po’ un velo pietoso per alleggerire la brutalità di parole più dirette e più chiare. Come se si sentisse il bisogno di stemperare la necessità di pagare le cure, quella di ridimensionare i diritti dei lavoratori o di evocare la presenza di campi profughi. Ben venga l’italiano, allora, con la schiettezza di un bell’incontro al posto dei meeting, un buon panino al posto di hamburger e sano cibo anziché artificioso food. E che non si dica che non è sexy, perché l’italiano può essere sinteticamente e semplicemente figo!

Ascolta il brano intonato: Renato Carosone, Tu vuo’ fa’ l’americano

tag:

Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

I commenti sono chiusi.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it