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Oggi, proprio adesso, ci troviamo tutti coinvolti in un cambiamento radicale; nulla di nuovo per certi versi poiché il cambiamento continuo è stato la cifra della modernità tanto quanto la distruzione creativa resta, oggi più che mai, la specifica cifra del capitalismo. Tutto nuovo invece se osserviamo spassionatamente l’ambiente entro cui conduciamo le nostre vite quotidiane, se lo confrontiamo con quello che potevano esperire in gioventù i nostri genitori e prima di loro i nostri nonni.
Gli sviluppi globali e locali di questo ambiente, sempre più tecnologicamente pervasivo, superano di gran lunga ogni precedente storico e rappresentano una diversità radicale nella misura in cui esso diventa e già ampiamente è un Ambiente Intelligente in grado di interagire con oggetti e persone.
Internet delle Cose, Big Data e Intelligenza Artificiale ne sono i pilastri che, a loro volta, si fondano su una gigantesca infrastruttura fisica indispensabile per rilevare, raccogliere, elaborare e trasmettere l’informazione digitale che contiene in potenza sapere, ricchezza, conoscenza, potere, bellezza e i loro contrari.
Una trinità tecnologico-scientifica che sta diventando ed in parte è già, il terreno (artificiale) e la base indispensabile non solo per il funzionamento della società ma per la vita stessa dei singoli umani sempre più incapaci di vivere al di fuori di essa.

Senza entrare nell’ambito delle applicazioni industriali e militari, l’Internet delle cose (IoT) può essere compreso dal profano (non addetto ai lavori) se solo si pensa alla possibilità (oggi quasi banale) di installare su ogni oggetto della vita quotidiana e su ogni corpo un chip, un sensore elettronico, di fatto un piccolissimo calcolatore, dotato di un indirizzo internet necessario per poter colloquiare con altri calcolatori vicini e lontani. Oggi, ognuno di noi è connesso solamente a pochi di questi dispositivi (uno per tutti: l’irrinunciabile smartphone che accompagna la vita delle persone) ma, nel breve volgere di un decennio, perdurando l’attuale tasso esponenziale di crescita, ognuno potrà (o forse dovrà) essere connesso a centinaia di oggetti intelligenti, a loro volta connessi tra di loro e collegati in una grande rete globale.
In questa prospettiva anche il corpo umano come fonte preziosissima di informazioni e di dati, è destinato ad essere integrato nella rete tramite dispositivi esterni (sensori) ed interni (microchip)  diventando esso stesso oggetto tra gli oggetti, intelligente non per sé e in sé, ma a causa della tecnologia che su di esso è installata e che consente l’interazione automatica con l’ambiente intelligente circostante di cui diventa parte. Le richieste di sicurezza e di salute rendono queste soluzioni molto appetibili ai cittadini a presindere da ogni elucubrazione complottista mentre – per inciso e sinteticamente – il tanto discusso 5G è semplicemente l’infrastruttura che si rende necessaria per trasmettere velocemente  l’enorme flusso di dati indispensabile a far funzionare l’internet delle cose.

L’assoluta centralità dell’informazione quale principale motore della società contemporanea è riconosciuta fin dai primi anni sessanta, quando fu coniata l’espressione Società dell’Informazione; l’avvento dei social e dell’internet delle cose, aumentando esponenzialmente la quantità di dati disponibili, riempie il concetto di un significato più concreto anche agli occhi dei cittadini non addetti ai lavori: essi però colgono solo il lato che riguarda le informazioni codificate in forma linguistica e simbolica, quelle che si possono leggere o guardare attraverso i media e i social, così numerose da aver causato una infodemia che rende quasi impossibile riconoscere la verità dalla finzione o dall’inganno. Esiste però un altro tipo di informazione generata da tutti i sensori installati nell’ambiente intelligente, partendo a titolo d’esempio dalla tastiera del PC, passando attraverso i navigatori dell’auto, per arrivare alle telecamere che ormai popolano ogni territorio.  Questa enorme disponibilità di dati e informazioni digitali in crescita esponenziale rappresenta un patrimonio dal valore incommensurabile quanto sbalorditivo: da esse si può estrarre di tutto. Già oggi sono disponibili raccolte di dati digitali, così estese in termini di quantità e varietà, da richiedere tecnologie e metodi analitici per spremere da questi archivi conoscenza utilizzabile. Questi grandi archivi digitali (Big Data) sono il terreno dove si sviluppa una vera e propria scienza volta ad estrapolare e mettere in relazione grandi quantità di dati eterogenei strutturati o non strutturati, allo scopo di scoprire tendenze, individuare legami causali e correlazioni, svelare scenari e prevedere sviluppi futuri, costruire profili personali sempre più precisi man mano che più informazioni vengono integrate. Al livello della vita quotidiana vediamo già adesso la potenza di questi sistemi nella precisione con cui ci vengono suggerite opzioni di consumo in funzione dei nostri comportamenti rilevati ed elaborati tramite algoritmi; e siamo solo all’inizio! 

Una così grande disponibilità di dati e di connessioni è una spinta potente anche per far fare un salto di qualità  all‘Intelligenza Artificiale disciplina dell’informatica che studia i fondamenti, le metodologie e le tecniche che consentono di progettare hardware e software capaci di garantire al calcolatore elettronico prestazioni che, all’osservatore comune, sembrano di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana quali, ad esempio, le percezioni visive, spazio-temporali e decisionali.  Non solo dunque macchine dalla straordinaria capacità di calcolo come è stato fino a poco tempo fa, ma anche e soprattutto macchine in grado di apprendere, dotate di abilità per risolvere i problemi in funzione del contesto, capaci di decisione non puramente logiche, capaci insomma di comportamenti intelligenti.
Questa replicazione tecnologica delle attività del cervello e delle forme del pensiero umano intelligente  pone delle sfide davvero drammatiche e – sia detto per inciso –  ha suscitato forti perplessità perfino in soggetti insospettabili come il fisico Stephen Hawking o l’imprenditore Elon Musk icona del progressismo tecnologico ottimista, che in questo tipo di sviluppo vedono pericoli superiori a quelli già gravi delle armi atomiche.

Questo tre ambiti tecno-scientifici in forte crescita, diventano  sempre più integrati e sempre più diffusi generando quello sviluppo inarrestabile sta alla base della costruzione del nuovo Ambiente Intelligente che rende e renderà il mondo esperito dalle persone nella vita quotidiana così originale e così diverso da come lo abbiamo vissuto fino a poco tempo fa.
Se l’evoluzione è questa, e tale sarà a meno di drammatiche catastrofi, viene da chiedersi da un lato se ci saranno esclusi dal “paradiso” tecnologico e, dall’altro se sarà possibile per chi è incluso, uscire dal sistema, ritirasi per così dire in qualche luogo libero dalla connessione. Certo è che ognuno dovrà fare i conti con questa realtà, inventarsi il modo per vivere in questo nuovo ambiente intelligente reso possibile dall’Internet delle cose, dai megadati e dall’intelligenza artificiale. Ma come?

Molte persone convinte che la tecnologia sia dominabile e gestibile ritengono che l’attuale fase di consumo sostanzialmente acritico possa continuare fornendo al consumatore sempre nuove opportunità e occasione per curiose esperienze; lo sviluppo dell’ambiente intelligente guardato con l’occhio del consumatore è semplicemente un progresso, un miglioramento rispetto al passato. Non si colgono in tale visione ottimista i rischi ambientali e sociali, né la cifra del cambiamento antropologico delle generazioni che nascono e crescono in un nuovo ambiente così diverso da quello delle generazioni precedenti.
Questo ottimismo superficiale nasconde appena il timore latente, la paura che dal godimento di queste tecnologie si possa essere esclusi, che vengano a mancare le risorse  economiche e finanziarie per poterne godere i frutti; o al contrario che queste tecnologie possano essere imposte dall’alto e diventare quindi manipolatorie e liberticide.

Altre persone, ancora poche per ora, vedono con estremo favore la possibilità dell’ibridazione cosciente, ovvero la scelta di potenziare corpi e menti attraverso la tecnologia: una strada ampiamente descritta nell’immaginario della fantascienza e riccamente articolata nelle riflessioni dei movimenti transumanisti che, nelle forme più radicali, predicono un’estensione indefinita della vita e ipotizzano perfino la possibilità di scaricare la mente (download) su supporti digitali e conquistare in questo modo una sorta di immortalità tecnologica. Già oggi ognuno di noi è un nodo  connesso alla rete digitale alla quale fornisce informazione e dalla quale informazione riceve tramite i dispositivi che sono per noi delle protesi tecnologiche che ampliano le nostre capacità; entro pochi anni è facile prevedere che dispositivi tecnologici saranno installati direttamente sui o nei corpi delle persone iniziando da innocenti applicazione biomediche peraltro già note. Ibridazione e potenziamento tecnologico possibile, proponendo la realizzazione concreta della mitica figura del cyborg, mezzo uomo e mezzo macchina, come ultimo e sviluppabile anello di un’evoluzione ormai assoggettata alla scienza, propongono la possibilità di un salto evolutivo decisamente sconvolgente che (per fortuna?) non sembra ancora così prossimo; ma già adesso pongono una domanda inquietante: chi potrà godere delle nuove tecnologie e chi ne sarà escluso?

Altre persone ancora, quelli che vedono in questi sviluppi i rischi oltre alle opportunità, quelli che non si sentono semplicemente consumatori passivi e temono l’ibridazione, quelli più attenti a vivere bene il presente piuttosto che attendere un futuro percepito come dubbio, possono guardare all’ambiente tecnologico intelligente come si guarda ad una sfida che rimanda innanzitutto verso l’interiorità, una sfida che può portare verso un’evoluzione spirituale. Evocare il concetto inneffabile di spirito può sembrare fuori luogo in un mondo dominato dalla tecnoscienza e dalla presunta razionalità; ma, a ben vedere è una soluzione non propriamente residuale visto l’attuale grande successo di sette, conventicole, religioni e pseudo religioni, comunità utopiche, discipline e tecniche occulte, misticismo e contattismo, pratiche sciamatiche, esoteriche e new age; risposte sociali attuali che attestano al di la di ogni dubbio la grande domanda di senso e di significato, di relazione e di amore, che sotto sotto agita uomini e donne che vivono in un ambiente sempre più intelligente, certo affascinante, ma incapace di rispondere alle domande ultime generando pace e felicità.
Anche in questo caso i confini tra ricerca seria e moda, tra autenticità e mercificazione sono assai sfumati e non di rado intrecciano antropologia e storia delle religioni, ricerca scientifica e ritualità tradizionale, ascesi ed uso di sostanze stupefacenti come sostenevano i profeti della psichedelia degli anni ’60 e ’70 (Timothy Leary e Aldous Huxley ad esempio) che praticarono l’uso di LSD come un vero e proprio sacramento laico.

Certo è che il nuovo ambiente tecnologico pone una sfida che investe non solo l’organizzazione della società ma anche e soprattutto la soggettività e l’interiorità di ogni persona: non prendere sul serio la sfida ci pone nella brutta situazione della rana che, immersa nella pentola d’acqua riscaldata poco a poco, non si rende conto del cambiamento ambientale in cui è immersa, e finisce con l’essere bollita viva.

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Bruno Vigilio Turra

È sociologo laureato a Trento. Per lavoro e per passione è consulente strategico e valutatore di piani, programmi e progetti; è stato partner di imprese di ricerca e consulenza e segretario della Associazione italiana di valutazione. A Bolzano ha avuto la fortuna di sviluppare il primo progetto di miglioramento organizzativo di una Procura della Repubblica in Italia. Attualmente libero professionista è particolarmente interessato alle dinamiche di apprendimento, all’innovazione sociale, alle nuove tecnologie e al loro impatto sulla società. Lavora in tutta Italia e per scelta vive tra Ferrara e le Dolomiti trentine.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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