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Certo la Finlandia non è l’Italia, né per estensione geografica né per popolazione, ma è un Paese che ha dimostrato come l’istruzione sia una priorità assoluta della politica.
Recentemente si è tenuto a Helsinki un seminario su ‘Istruzione e spazio pubblico’. Solo pensare alla relazione tra i due campi per noi sarebbe inimmaginabile. Noi opteremmo per temi più politicamente impegnati come ‘Istruzione e servizio pubblico’, ma ormai sempre più vuoti e sempre più inutili.
A me sembra che ‘istruzione e spazio pubblico’ abbia già alle spalle ‘istruzione e servizio pubblico’, l’abbia già acquisito come dato permanente del suo Dna, come dato da non rimettere in discussione o minacciare come può accadere da noi.
Al seminario hanno partecipato architetti e scienziati sociali provenienti da diversi Paesi europei per discutere di edilizia scolastica come spazio urbano, didattico e politico. Sono sufficienti questi tre aggettivi per comprendere l’angustia dei nostri ragionamenti intorno all’edilizia scolastica, presi come siamo dal dover rincorrere i nostri ritardi, i pericoli di strutture fatiscenti, mai scaturite da un ragionamento intorno all’istruzione, alla scuola, al suo essere spazio pubblico e urbano.
La scuola come luogo di vita non solo per gli alunni che la frequentano, ma anche per le famiglie, per la gente del quartiere, la scuola che si propone di fornire benessere e comfort.
La scuola spazio pubblico accogliente, aperta alla luce naturale, la scuola dove i bambini vanno a piedi nudi, godono di arredi appositamente studiati, di divani circondati da caldi tappeti dove poter leggere comodamente.
Per gli architetti finlandesi progettare una scuola è una questione di orgoglio e di prestigio, non solo per gli investimenti pubblici messi a disposizione, ma per la centralità sociale che assume ogni edificio destinato a fornire, in dimensiona umana, istruzione e cultura agli alunni come alle persone del quartiere.
Un certo numero di giovani architetti sta progettando nuove scuole con una qualità formale in grado di generare un ambiente educativo invidiabile non solo da noi, ma dalla maggioranza dei Paesi europei.
Sono spazi flessibili che possono ospitare molteplici funzioni, la mensa si trasforma facilmente in un teatro o in auditorium. La flessibilità è necessaria affinché le scuole siano anche spazi urbani al servizio dei cittadini, non solo biblioteche di quartiere, ma luoghi di concerti, luoghi di incontro per gli adolescenti. Potremmo parlare di una scuola porosa, capace di vivere e servire il respiro del quartiere, di assorbirne gli umori e di risponderne alle esigenze. La porosità con l’ambiente si traduce in una buona appropriazione da parte del pubblico e in una buona integrazione nel tessuto urbano.
Non edifici pubblici costruiti all’insegna dell’austerità e del contenimento economico, ma edifici progettati con la premessa dell’eccellenza. Perché la molteplicità d’uso e di funzione degli edifici dell’istruzione pubblica è innanzitutto una scelta di razionalizzazione, perché la polifunzionalità di quartiere, o comunque urbana, consente di evitare la costruzione non necessaria di altri edifici e la relativa spesa pubblica, la densificazione della città, oltre a produrre un notevole risparmio energetico.
Forma e sostanza sono strettamente correlate. Prendersi cura delle scuole, del loro design è il primo passo per raggiungere l’eccellenza nel sistema di istruzione. Creare spazi utili e armoniosi promuove l’efficacia della scuola e di conseguenza il consapevole rispetto per l’istruzione da parte degli studenti.
La scuola come spazio pubblico è questo luogo versatile, integrato nella città, non recintato, aperto e accessibile, in cui bambine e bambini, ragazze e ragazzi imparano a vivere insieme, ma si mescolano anche con estranei, adulti, giovani e anziani. È luogo che può incorporare occasioni e semi del conflitto, ma è soprattutto luogo di cittadinanza viva, di cittadinanza non predicata, ma praticata, luogo di autentica urbanità.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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