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5 Maggio 2014

La Spal, specchio di Ferrara

Tempo di lettura: 3 minuti


A Ferrara si va “alla Spal”, così come si va in stazione o in piazza. “Alla Spal”, non “allo stadio”. La Spal come luogo fisico, dunque; punto di incontro, spazio della città ben riconoscibile fra gli altri spazi pubblici. La Spal come entità imprescindibile, patrimonio di tutti, pure di chi non si occupa di sport.
L’eredità di Paolo Mazza è anche questa. L’eredità di una squadra nella quale la città si specchia e si culla. Per lunghi anni la Spal è stata più di Ferrara. Negli anni della serie A, quando i biancoazzurri duellavano da pari a pari con Inter, Milan e Juventus, quando aleggiava la favola dell’armata corsara biancoazzurra, in Italia e persino all’estero Ferrara – più che il castello, il duomo e i musei – era la Spal, la creatura di Mazza divenuta simbolo e orgoglio cittadino.
Ferrara negli anni Cinquanta e Sessanta non era ancora città d’arte e Abbado non era ancora Ferrara. Ma c’era la Spal. Nel cuore della Ferrara ferita dalla guerra s’è radicato, così, un grande amore. La grandezza della Spal riscattava la povertà degli anni della ricostruzione, mitigava la durezza del vivere quotidiano e rendeva i tanti emigrati – a Sesto San Giovanni, a Torino o altrove – orgogliosi di essere ferraresi.

Appartenenza e identità. Per questo Ferrara ha sedimentato e conservato nei confronti della propria squadra un sentimento di gratitudine che gli anni, i fallimenti e le delusioni non hanno scalfito. Perché questa è una città che non dimentica. Una città dove la scarsità delle risorse ha reso più preziose le rare ricchezze, patrimoni da amministrare con saggezza. Ciò che è stato fonte di gioia, ciò che ha dato lustro non si scorda, resiste nella corrente dei sentimenti. La Spal è stata miniera di pietre preziose. E così ha continuato a essere percepita anche quando lo splendore si è offuscato.

Questo spiega l’amore di Ferrara per la Spal. E spiega i cinquemila di ieri allo stadio e i duemila che hanno continuato a seguire e incitare la squadra anche il serie D, il gradino più basso della storia calcistica, toccato appena un anno fa. Il tifoso sa essere paziente e fiducioso, certo che passione e dedizione possano propiziare il riscatto.

La scintilla innescata dal commendator Mazza è lontanissima nel tempo. Ma viva resta la memoria della Spal dei Massei, dei Bozzao, dei Corelli, dei Picchi: quella che ha fatto innamorare la città. La prima provinciale di lusso che fece tremare gli squadroni.
Le delusioni di questi anni, al di là delle tribolazioni, un effetto positivo forse lo hanno avuto: quello di cancellare la spocchia con cui gran parte del pubblico ha spesso, in passato, affrontato sfide con squadre ritenute per blasone inferiori, considerando un’onta per la Spal doversi misurare con esse. E non penso solo alla Centese (un derby che faceva arrossire di vergogna gli spallini) o a squadre un tempo calcisticamente sconosciute come Lanciano, Castel di Sangro, Alzano, Cittadella, tutte poi felicemente approdate alla serie B. Con analoga supponenza e fastidio ci si misurava anche con sodalizi di città prestigiose: con il Siena, persino con il Parma nei primi anni Ottanta. Risultato: Siena e Parma hanno conosciuto gli onori della Seria A (certo: Monte Paschi e Tanzi non sono estranei alle loro fortune!), ma ai ferraresi, nobili decaduti del pianeta calcio, dava l’orticaria incontrarle. E la Spal è scivolata sempre più in basso, a causa certamente di sciagurate gestioni societarie, ma forse anche per questo atteggiamento spocchioso che ha zavorrato la squadra ben prima delle disavventure dirigenziali, già negli anni Ottanta e Novanta.

La promozione conquistata ieri sul campo è stata sospirata per ben 16 anni. Questa lunga astinenza sembra aver fatto maturare uno spirito nuovo, con il quale affrontare con umiltà e determinazione le prossime sfide. Siamo la Spal, certo. Ma i titoli contano zero. Nel calcio come nella vita i traguardi si centrano con sacrificio e abnegazione.

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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