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Il brulicante quartiere moscovita di Ottobre Rosso non smette mai di stupire. Pare inventarne sempre una per meravigliare, per accendere la fantasia e lasciar riflettere su presente e passato. La Fondazione V-A-C (di cui vi parleremo più dettagliatamente nelle prossime puntate, vi basti per ora sapere che la fondazione supporta la creatività di giovani artisti contemporanei occupando una parte della centrale elettrica dismessa Ges2) è un bell’esempio di come coniugare la creatività dei giovani di oggi con i la storia e la tradizione passate. Nonché con i suoi valori. Per non dimenticare quanto di buono ci è stato lasciato e quanto di nuovo si possa sempre trovare in esso, magari reinventandone alcuni elementi. Con passione e nuova forza.

Nell’esposizione dedicata, dalla Fondazione, alle pratiche artistiche nell’ambiente urbano, che vuole (ri)trovare i legami fra lo spazio urbano e l’arte, abbiamo scovato una chicca, passateci il termine: Bublik, il “progetto lenzuola”, della giovane creativa Elena Kholkina.

Progetto lenzuola, Elena Kholkina

Facciamo un passo indietro, dunque.

Durante l’epoca sovietica, le autorità cittadine avevano costruito molti edifici insoliti e inusuali, se pur legati ad alcuni importanti fatti dell’epoca. Uno di questi era sicuramente rappresentato dall’edificio cilindrico di appartamenti costruito nel 1972 dall’architetto sovietico Eugene Stamo e dall’ingegnere Aleksandr Markelov. Ubicato nel distretto (rayon) di Ochakovo-Matveevskoe, nella zona sud-est di Mosca, l’edificio è chiamato Bublik dai residenti e dai vicini, per la sua somiglianza con la rotonda e gustosa ciambellina dolce, bollita prima della cottura, tipica dell’est Europa chiamata bagel (e appunto бублик / bublik, in russo e ucraino, obwarzanek, in polacco, riestainis, in lituano).

Bublik_in_Kiev

L’edificio residenziale fu disegnato per contenere 913 appartamenti e, secondo gli architetti, 5 edifici simili dovevano essere costruiti prima delle Olimpiadi del 1980. I 5 edifici dovevano ricordare il simbolo olimpico ma solo due furono completati. Il villaggio doveva contenere tutto (negozi, farmacie, campi da calcio, ufficio postale), dar vita a una sorta di micro-comunità autosufficiente, una cittadina in miniatura, ma il progetto si rivelò di difficile realizzazione: alti costi di mantenimento, lontananza eccessiva fra gli edifici. Difficile poi associarli agli anelli olimpici e difficile da realizzare.

Bublik, edificio
Bublik, edificio
Bublik, edificio

In queste case fu girato il film “Courier” e le sue finestre si vedono nei fotogrammi finali del famoso film sovietico “Mosca non crede alle lacrime”. Quanto oggi rimane è l’idea delle buone relazioni di vicinato dell’epoca sovietica, l’importanza della costante socializzazione di persone che vivono l’una accanto all’altra ogni giorno, che condividono valori, pensieri e giornate. Luoghi di ritrovo, dove socializzare e sentirsi complici, dove aiutarsi in momenti più o meno difficili, dove essere solidali, vicini. In un mondo, come quello moderno, dove questi valori spesso paiono persi o confusi con il rumore della città e del suo movimento vorticoso e dove i rapporti di vicinato paiono perdersi e essere sostituiti dagli scambi virtuali di email e messaggi sui social network, Elena Kholkina, nel mese di agosto 2015, ha voluto fare un esperimento, un bell’esperimento. In questo edificio periferico a forma di anello, fra i suoi nove piani di vite, l’artista ha cercato di sorpassare la predominanza della comunicazione online e, per fare questo, ha steso lenzuola ad asciugare, senza preavviso. Su ciascuna di esse vi era una storia, quella di un abitante del Bublik, da lei raccolta in precedenza. Queste storie dovevano diventare (e lo sono diventate) motivi di scambio e di comunicazione reale, “live”, tra i lettori, creando un peculiare “social network offline”.

Si tornava a parlare, a comunicare, a conoscersi, a scambiare le proprie storie di vita.

Il tutto culminato in una piccola festicciola con i simbolici bublik, le ciambelline, da lei organizzata per i residenti, mostrando le foto e i video di quegli incontri.

Un cerchio che si chiude, una forma rotonda che lega e unisce. Un anello che continua.

Perché la comunicazione diretta fra le persone è sempre la migliore e non vi è nessun social network che la possa sostituire. Ci è piaciuto. Molto. Brava Elena. Salviamo questo dal passato. Almeno questo. Ne vale la pena.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

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