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Nel secondo dopoguerra la Rca (Radio Corporation of America), con sede a New York, era una delle più importanti case discografiche degli Stati Uniti; fondata nel 1919 come compagnia radiofonica, nel 1929 aveva acquistato la Victor Talking Machine Company, entrando così nel mercato discografico.
Nel 1949, Frank M. Folsom, vice presidente della RCA Victor, fu ricevuto in udienza privata da Papa Pio XII, il quale in ricordo dei bombardamenti americani che colpirono il quartiere di San Lorenzo, gli chiese l’installazione di una fabbrica nel borgo romano. La società americana, già decisa ad aprire uno stabilimento in Italia, dopo quell’incontro scelse Roma come sede, inizialmente vicino a Villa Borghese e, nel 1951, al Km 12 della via Tiburtina.

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Sede Rca Italia in via Tiburtina

I primi anni furono stampati per lo più dischi di provenienza dalla Rca statunitense, (Elvis Presley e Harry Belafonte in primis), anche perché la casa madre non era interessata a promuovere più di tanto gli artisti italiani; le poche registrazioni di quegli anni riguardavano Domenico Modugno, Nilla Pizzi e Katyna Ranieri.
Alla fine del 1954 la casa madre propose di chiudere la sede romana, il cui bilancio era in perdita. Papa Pio XII incaricò Ennio Melis, uno dei suoi segretari laici, di verificare lo stato dell’azienda.

Melis, che affidò l’amministrazione a Giuseppe Ornato, vide nell’azienda un enorme potenziale, questa intuizione lo portò a diventare il responsabile della politica intrapresa dalla RCA Italiana nei 30 anni successivi. Per molti aspetti la visione di Melis ricorda quella di Enrico Mattei con l’Agip.

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Harri Bellafonte

Le prime decisioni furono di portare tutta la produzione sui 45 giri, abbandonando il 78 giri, trasferire studi e uffici presso lo stabilimento di via Tiburtina e scegliere Vincenzo Micocci come direttore artistico. I due promossero la costruzione di nuovi studi di registrazione e l’assunzione di giovani e promettenti musicisti, tra cui Ennio Morricone e Luis Enriquez Bacalov. I primi cantanti ingaggiati furono i famosi “quattro moschettieri”: Nico Fidenco, Gianni Meccia (per lui Melis, con Micocci, coniò il termine “cantautore”), Jimmy Fontana ed Edoardo Vianello. Nello stesso anno il direttore artistico mise sotto contratto Rita Pavone e Gianni Morandi, che negli anni successivi dominarono le classifiche di vendita.
Negli anni successivi la RCA ingaggiò come direttore artistico Nanni Ricordi, che portò in “dote” artisti quali Sergio Endrigo, Gino Paoli, Luigi Tenco ed Enzo Jannacci. In quel periodo la RCA Italiana divenne la casa discografica leader per le vendite, grazie ai successi dei cantautori e di Gianni Morandi e Rita Pavone, abbinando quindi la canzone d’autore a quella di consumo.

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La sede di Via Tiburtina non era soltanto il luogo degli uffici, delle registrazioni e della
stampa dei dischi, si trattava di una vera e propria “cittadella della cultura”. Il bar della RCA è stato il salotto “temporaneo” in cui, per tanti anni, è passata tutta la cultura italiana.Tra i tanti frequentatori: Pier Paolo Pasolini, Arthur Rubinstein, John Huston, Vittorio De Sica, Sergio Leone, Luigi Magni, Ettore Scola, Giuseppe Patroni Griffi, Pasquale Festa Campanile, Elio Petri, Dario Argento, Alberto Sordi e Alberto Moravia. Un altro importante luogo di ritrovo è stato il “Cenacolo”, una sorta di campus situato in via Nomentana.
Il successo dei dischi degli anni ‘60 fu spesso dovuto agli arrangiamenti di Morricone e Bacalov, che non si limitavano all’orchestrazione, ma cercavano nuove sonorità ed effetti, inoltre, un ruolo importante lo ebbe anche la tecnologia, notevolmente all’avanguardia per quell’epoca.

Gli anni settanta continuarono con i grandi successi dei cantautori e dei nuovi cantanti, tra i tanti nomi citiamo Lucio Dalla, Claudio Baglioni, Ivano Fossati, Renato Zero, Gabriella Ferri, Nicola di Bari, Fiorella Mannoia, Nada, Riccardo Cocciante, Schola Cantorum, Angelo Branduardi, Stefano Rosso, Anna Oxa, Ron, Antonello Venditti, Francesco De Gregori e Rino Gaetano. Venne anche stipulato un accordo per la distribuzione della Numero Uno, la casa discografica di Mogol e Lucio Battisti, che produceva anche Formula 3, Bruno Lauzi e la PFM.

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In quegli anni si ebbe un primo periodo di crisi economica, dovuto al calo del mercato discografico italiano e a una serie di errori, tra cui il flop delle cassette Stereo 8, imposto dalla casa madre. Nel 1978 la RCA perse Baglioni e Venditti e alcuni cantanti non raggiunsero gli obiettivi di vendita previsti.

Negli anni 80 altri artisti lasciarono la Rca (tra questi Paolo Conte, Francesco De Gregori e Ivano Fossati) e non furono ingaggiati personaggi di rilievo, una delle rare eccezioni fu Luca Carboni. Nel 1983, avendo saputo che la Bmg Ariola era interessata all’acquisto della RCA e che quindi si doveva ridurre il personale (da 600 a 200 dipendenti), Melis decide di lasciare l’azienda.

Gli edifici della sede storica di Via Tiburtina sono stati in parte trasformati, sopravvivano quelli che furono gli studi di registrazione (già drasticamente ridotti negli anni ’80, dopo l’uscita di Melis), la palazzina dirigenti, il magazzino e pochi altri. Questi palazzi sono oggi utilizzati come magazzini per ditte di abbigliamento e calzature.
L’idea di realizzare un museo sta diventando sempre più sentita e a nostro avviso anche dovuta.

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William Molducci

È nato a Forlì, da oltre 25 anni si occupa di giornalismo, musica e cinema. Il suo film “Change” ha vinto il Gabbiano d’argento al Film Festival di Bellaria nel 1986. Le sue opere sono state selezionate in oltre 50 festival in tutto il mondo, tra cui il Torino Film Festival e PS 122 Festival New York. Ha fatto parte delle giurie dei premi internazionali di computer graphic: Pixel Art Expò di Roma e Immaginando di Grosseto e delle selezioni dei cortometraggi per il Sedicicorto International Film Festival di Forlì. Scrive sul Blog “Contatto Diretto” e sulla rivista americana “L’italo-Americano”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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