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E con i primi, esitanti passi dopo la caduta (non il dramma di Arthur Miller, ma il mio capitombolo), comincio ad avere una sazietà spesso ingannevole degli spettacoli che in questo periodo hanno prodotto orrore – ma si sa che spesso siamo attratti dall’orrore – e purtroppo complicità nell’osservarli.

Il più visto e il peggiore, che si svolge in una valle di lacrime, è quello che assorbe mente, cuore e organi sessuali nel sabato sera. Ecco allora che le coppie s’alternano in terrificanti esibizioni (vi piacerebbe, miei pochi lettori che avessi usato il termine performances, ma non cado nella trappola!) lugubri, apparentemente preparati per suscitare pietà, amore e odio, tra volteggi degni di un mediocre Dracula e la puzza di piedi mal lavati.

I ‘giudici’ esprimono disprezzo, amore e piangono. I ballerini piangono. Il pubblico piange. Ma non solo. Piangono anche dalla zia che li ospita la domenica pomeriggio. I singulti riempiono la sala tra gli sguardi duri dei giudici che ribadiscono il loro giudizio finale (e il rimando ad un clima religioso non è casuale), ostentando noncuranza e disprezzo per i non ripescati.

Sì! Come i pesci all’amo. E come gli tsunami che sconvolgono la terra ecco che dal profondo mi esce un urlo: Basta! Mi accorgo che il segno esclamativo punteggia queste righe, ma è naturalmente voluto. Mi son liberato.

Un serpentello maligno però insinua la sua testa viperina per chiedermi/ci: ma questi milioni di spettatori come voteranno? Come giudicheranno la politica? Come esprimeranno un voto – sempre legittimo – per assicurare il loro percorzo democratico?

E il disagio si fa ancor più pruriginoso, quando per curiosità assisto in diretta alle presenze politiche ad Atreju 2021 e alle esternazioni della piccola signora romana dagli occhi tondi. Questo è un esempio tratto dal giornale Il tempo:

“Il centrodestra ha i numeri per essere determinante. Non accetteremo compromessi, vogliamo un patriota al Quirinale”. Oppure: “: “Il Pd sta cercando un capo dello Stato gradito ai francesi, non mi stupisce: in questi anni la sinistra ha favorito la svendita dei nostri asset strategici e delle nostre grandi aziende proprio ai francesi. Noi vogliamo un presidente della Repubblica che piaccia agli italiani”. Poi l’affondo sul segretario Pd Enrico Letta: “è il Rocco Casalino di Macron”. Ne ha anche per il premier Mario Draghi: “Palazzo Chigi è diventato l’ufficio stampa dell’Eliseo”.

Absit iniuria verbis….

Frattanto tengo a capo letto un libro che mi ha insegnato moltissimo in questi frangenti burrascosi: Daniel Mendelsohn [Qui], Tre anelli. Una storia di esilio, narrazione e destino, Einaudi 2021 (Originale, 2020).

Da tempo ho letto tutti i suoi romanzi, ma questo è nel tempo stesso racconto e saggio e si rifà al destino di tre grandi protagonisti esuli ad Istanbul, a cominciare dal più grande critico del Novecento ebreo Erich Auerbach [Qui], che fuggì a Istanbul dalla Germania di Hitler e lì scrisse uno dei libri più importanti della letteratura occidentale, Mimesis.

L’anello di cui si parla è nello stesso tempo digressione ed essenziale modo critico. Scrive nel risvolto di copertina il bravo prefatore Norman Gobetti Mendelsohn racconta «anche una tecnica narrativa, un modo di dare forma alle storie e un senso al mondo: la narrazione ad anello, l’arte della divagazione, l’idea di un viaggio, di un’odissea che permette un ritorno a casa arricchiti».

È uscita in questi giorni una fondamentale opera: Giorgio Bassani, Poesie complete, a cura di Anna Dolfi [Qui] , Feltrinelli, 2021. L’imponente lavoro della Dolfi, certamente la maggior studiosa dello scrittore ferrarese, ripercorre in ogni istante con una superba opera di ricostruzione l’interconnessione ad anello di ogni aspetto degli interessi critici, poetici, narrativi e ancora altro dello scrittore.

Da fonte certa si sa che Bassani, allorché si rivolgeva al mondo ebraico, usava la dizione “loro”. Ecco allora cosa scrive Mendelshon, e Anna Dolfi mi assicura che non conosceva il testo dello studioso, allorché scrisse il suo commento.

Cito: “La concezione ebraica di Dio – scrive Auerbach – non è tanto causa quanto piuttosto sintomo del loro modo di vedere e di rappresentare” (difficile non essere colpiti dall’uso in questo passo dell’aggettivo possessivo “loro”, come se Auerbach stesso non fosse un ebreo; una scelta che m’induce a chiedermi se il suo interesse per l’”opacità” fosse puramente accademico). (p.37)

Di anello in anello si conclude il mio circolar vagando tra gli orrori della televisione generalista. Ora che il camminare ritorna ad essere necessità e guarigione, abbandono le sedute lacrimose e riservo il senso nobilissimo del pianto a ben altri fatti e momenti aiutato in ciò dalle mie Beatrici: Liliana Segre [Qui] ed Edith Bruck [Qui] accompagnate da un critico di vaglia che muove bene il bastone, Natalia Aspesi [Qui].

Per leggere tutti gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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