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Ho tra le mani un libro e ne ho appena finita la lettura: Nova di Fabio Bacà è uscito lo scorso settembre ed è il secondo romanzo di questo autore di origini abruzzesi, dopo Benevolenza cosmica del 2019.

Entrambi i romanzi sono editi da Adelphi. Quando un’altra scrittrice abruzzese che amo particolarmente, Donatella Di Pietrantonio [Qui], mi ha consigliato di leggere Nova e di conoscerne l’autore, non ho posto tempo in mezzo. Presa dallo zelo di corrispondere anche così all’empatia che si è creata tra di noi nel recente bellissimo incontro a Ferrara.

nova fabio bacàHo letto il libro a tappe regolari, né bevendolo d’un fiato, né centellinando poche pagine per volta. Ho letto con curiosità costante, perché la storia di Davide Ricci, il protagonista del romanzo, è davvero particolare.

Non è solo così, dovevo dire che la lingua con cui è raccontata la storia di Davide Ricci è decisamente attrattiva: erudita e dal registro formale raffinato ma con molte sfumature ironiche e una precisione definitoria che appaga. Una lingua così mette in ordine il creato, ne fotografa gli elementi e li colloca senza sbavature al loro posto.

La storia di Davide Ricci è la storia di un cambiamento radicale. Davide, stimato neurochirurgo di Lucca, conosce la prima volta Diego, maestro zen, mentre questi sta difendendo sua moglie Barbara da un ubriaco che la importuna dentro al ristorante in cui Davide è appena arrivato per pranzare con lei e il loro figlio Tommaso.

Mentre lui è bloccato dal timore e dalla vigliaccheria, Diego agisce e, usando la forza, attacca al muro l’aggressore e sfodera un coltello. Conoscere Diego rappresenta per Davide “lo strappo nel cielo di carta”, che accade a Mattia Pascal nel celebre e paradigmatico romanzo di Pirandello: è la perdita progressiva delle sue sicurezze, dei valori su cui ha fondato la vita personale e famigliare.

Diego lo conduce fuori dalla quiete rassicurante della sua vita borghese e lo mette di fronte a una realtà diversa, di cui la violenza è parte integrante. Lo avvia a un percorso di consapevolezza che gli rivela la natura ultima dell’essere umano, il lato oscuro e primitivo che ci accomuna tutti.

Conosco quello che si prova quando la vita ci toglie qualcosa di colpo, quando siamo sopraffatti da una distorsione netta rispetto al tracciato delle nostre giornate. Perciò sono stata attratta a leggere quello che accade a Davide nelle settimane che seguono l’episodio truce al ristorante.

Gli si presentano nuove seccature nella vita quotidiana, soprattutto si  riaccende il contenzioso con il vicino di casa per una questione di rumori notturni, e il vicino che ne è causa col suo locale notturno finisce per minacciare Davide e neanche troppo velatamente.

È la miccia che si accende nella mente del protagonista, a cui segue la salita in superficie di pulsioni violente, dell’accettazione del conflitto come parte ineludibile della vita. Diego lo accompagna ad averne la consapevolezza, a prendere atto dei propri impulsi e non a reprimerli come ha fatto da sempre. Lo avvia alle arti marziali, dove il combattimento diviene uno strumento per dominare l’aggressività, per incanalarla verso la ricerca di sé, verso il perfezionamento.

Il romanzo finisce con una sequenza di violenza collettiva, di cui sono parte anche gli altri protagonisti della storia: a un importante concerto a Lucca si ritrovano Davide con moglie e figlio, gli amici, Diego, il figlio del vicino di casa, la folla che è venuta a sentire i Pet Shop Boys. Quando Giovanni, il figlio del vicino, si avvicina platealmente a Davide per aggredirlo, noi assistiamo al cambiamento che è avvenuto in lui, perché decide di battersi…

La nova a cui allude il titolo è esplosa in lui, come fa una stella quando deflagra per l’eccessivo accumulo di idrogeno sulla sua superficie e diventa così più luminosa che mai.

Ha dato ascolto al Potere che è in lui: quando ha chiesto a Diego cosa esso sia esattamente, Diego gli ha risposto che lo sa benissimo, lo ha sempre saputo. Anche se lo ha tenuto represso, lo ha neutralizzato, secondo le regole del vivere civile. Lo ha voluto alienare da sé, come accade alla cultura occidentale, che relega la violenza in un altrove di comodo.

Aprendo il libro mi è venuta spontanea una interpretazione del titolo un po’ diversa. L’ho collegato alla Vita Nova di Dante [Qui], l’opera giovanile in cui il poeta incontra Beatrice all’età simbolica di nove anni e, da quello “strappo nel cielo di carta” in poi, si purifica attraverso il sentimento dell’Amore, innalzandosi alle vette della Filosofia e della Teologia.

Ho pensato anche a nova come all’aggettivo della lingua latina che, declinato nei casi diretti del genere neutro, al plurale vuol dire le novità.

Forse non ho del tutto sbagliato: la stella che esplode entra in una fase nuova, come lascia intendere la parola latina; anche la vita di Davide Ricci assume una piega del tutto diversa, quando accetta la lotta finale e quando, nella pagina conclusiva in una stanza di ospedale, è davanti al corpo di Giovanni, in coma, e deve prendere la decisione estrema: salvarlo o salvarsi staccandolo dal ventilatore che lo tiene in vita.

Pensa: “Ora so che l’universo è infinito perché contiene tutto l’odio generato dalla razza umana dall’inizio dei tempi. Questo è ciò che siamo. Questa è la sostanza di cui siamo fatti: sangue, furore e detriti di sogni al confine tra sonno e veglia”.

Dall’altra parte, se ho richiamato un’opera come quella dantesca ho riconosciuto l’elemento di novità che è in lei. È la direzione del cambiamento a fare la differenza: l’esperienza amorosa di Dante giovane punta verso l’alto, mentre nel romanzo di Bacà il movimento va al centro della natura umana, mi verrebbe da dire che punta verso il basso.

Sono figlia della cultura occidentale e dei classici che ho studiato dalla adolescenza in poi, rifuggo dall’uso della violenza e ne prendo le distanze ogni volta che la storia me la fa incontrare, ogni volta che la cronaca di questi anni e giorni me la mette sotto gli occhi.

Ho bisogno di pensare ancora alla intera parabola a cui va incontro in questo libro un uomo pacifico come Davide:  la sua preparazione culturale, la sua ironia, le difese che si è creato per stare nel mondo mi hanno fatta sentire a casa.

Seguendo le fasi della sua trasformazione ho pensato che paiono plausibili nella loro progressione, che il pensiero zen le soccorre come una robusta rete epistemologica e Davide cade in modo conseguente verso la legittimazione della violenza. La storia è ben scritta ma che storia!

Sento che mi occorre altro tempo per pensarci. Non mi arrendo a che la violenza sia cittadina del mio mondo e dentro al mio cervello. Voglio rimanere ancora come è stato Davide nella situazione iniziale del romanzo. Ma ci penserò.

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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