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Non so quanto resterà dell’opera di Andrea Camilleri, morto cieco – come Borges, come Omero – dopo aver dominato per più di vent’anni le classifiche dei libri più venduti. Il suo Montalbano non ha solo arricchito gli scaffali di tanti italiani (conosco amici che vantano la collezione completa) ma è arrivato trionfalmente in prima serata di Rai 1, quella che una volta si chiamava la Rete Ammiraglia.
Milioni di volumi venduti (25 milioni solo per le avventure del commissario di Vigata), tantissimi lettori affezionati, record di ascolti per le serie televisive. Eppure Camilleri ha fatto molto altro prima di diventare uno scrittore cult, lo scenografo, il regista teatrale e televisivo, ma quando ha preso la penna in mano ci ha preso gusto e in trent’anni ha raggiunto e superato la soglia dei 100 volumi. Cento libri! Non tutti dedicati alle avventure del suo commissario, alcuni anzi – quelli incentrati su piccoli e dimenticati episodi di storia sicula – forse più belli, perché liberi dal necessario tributo alla serialità dei suoi apprezzatissimi gialli.
Non credo che la sua scrittura – nemmeno il suo celebrato pastiche linguistico ispirato (e inventato) a un godibilissimo idioma pseudo siciliano – diventeranno quello che si suole definire ‘un classico’. Insomma, tra la più riuscita avventura del Commissario Montalbano e l’indagine del Commissario Ingravallo nel Pasticciaccio di Carlo Emilio Gadda rimane un abisso incolmabile. Di vocabolario, di lingua, di stile, di invenzione. Camilleri ne era perfettamente conscio: si è sempre definito un laborioso e artigiano della scrittura, non un grande autore in attesa del Nobel.
Ma se Andrea Camilleri non potrà essere accostato a Luigi Pirandello, a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, a Leonardo Sciascia – e nemmeno a un altro grande scrittore siciliano come Leonardo Consolo – il suo rimane un posto di rilievo, non solo e non tanto nella ‘storia della letteratura italiana’, quanto della italica ‘storia della lettura’. Basta scorrere la serie storica delle classifiche dei libri più venduti. Trent’anni fa, prima del fenomeno Camilleri/Montalbano, la vetta (con rare eccezioni) era appannaggio di volumi usa e getta o tuttalpiù dall’ennesimo bestseller americano. Oggi non è più così. Potremo dire che Camilleri ha insegnato a leggere gli italiani. A leggere libri migliori. Ha aperto la strada alla new wave dei giallisti italiani di qualità. Soprattutto ha condito di intelligenza e ironia una produzione letteraria che sembrava essersi impantanata nella retorica o nel consumo.
Una ironia preziosa, quella di Camilleri, gemella anche se diversa da quella praticata da un altro grande intellettuale scomparso pochi giorni fa, Ugo Gregoretti. Entrambi erano intellettuali impegnati civilmente, con una grande attenzione, rispetto, com-passione verso gli ultimi. Entrambi avevano in odio ogni retorica. Ci mancheranno.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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