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“Non è bello ciò che è bello, ma che bello che bello che bello” (frate Antonino da Scasazza)

Non ci sono dubbi, per i ferraresi l’argomento del giorno è il nuovo albero di Natale in piazza del duomo. Piace a pochi e fa discutere parecchio, ma questa è un’usanza, una tradizione, si brontola come sistema, soprattutto quando ci sono delle novità, come in questo caso, in cui il tradizionale abete, con palle e lucine, è stato sostituito da una scultura di tubi di vetro soffiato realizzata presso la bottega del maestro Simone Cenedese a Murano.

L’albero di Natale davanti al duomo di Ferrara

Ascoltando i vari pareri, le obiezioni a questa installazione sono soprattutto di tipo estetico e sentimentale. Non piace perché alla consueta, rassicurante forma dell’abete, evocativa di infanzie e Natali trascorsi nel calore degli affetti famigliari, c’è un oggetto diverso, un alieno colorato che assomiglia per alcuni a uno scolabottiglie, per altri alla spazzola di uno scopino da gabinetto. Può essere, l’arte di tutti i tempi ci ha abituato alle provocazioni e alle letture spregiudicate della realtà. A volte sono necessarie per scuotere le menti, a volte ci divertono perché ci mostrano con una risata le nostre debolezze, molto spesso sono furbe operazioni di marketing, in questo caso, non mi sembra che si tratti di un’opera epocale, ma di una interessante realizzazione artigianale, che una volta illuminata a dovere, farà la sua figura. 
Dovrebbe funzionare, gli ingredienti ci sono tutti per un allestimento di successo: c’è lo sfondo impagabile del Duomo e della piazza e c’è un Albero nuovo, originale, diverso dal solito. Un oggetto soprattutto imponente, almeno così si legge nella pagina del sito della Vetreria e nella promozione online dell’evento ferrarese, che dovrebbe avere un’altezza superiore agli otto metri e una larghezza di almeno tre, un’altezza da record che improvvisamente scompare nello spazio della piazza.

Ecco cosa non funziona, quest’albero semplicemente è piccolo rispetto allo spazio in cui è collocato e si perde nel vuoto. Eppure, chi progetta queste installazioni dovrebbe preoccuparsi di questo “dettaglio”, cercando di capire quale sarà la posizione migliore per esaltare la scultura e lo spazio che la circonda. Invece non funziona così ci stiamo sempre più abituando ad un modo di procedere che si concentra sull’oggetto, senza considerare il contesto. In questo caso abbiamo una scultura che sembra acquistata da un catalogo senza averla mai vista veramente, scelta a sentimento in base alle foto e alle sue descrizioni. Per esempio, ho letto che questo “albero” è stato esposto “ nella piazzetta dei Leoncini davanti a piazza San Marco a Venezia”, e chi conosce Venezia sa che non è davanti, ma su un lato della Basilica, cioè in uno spazio raccolto, una specie di nicchia nel volume complessivo della piazza, dove si sarebbe perso, come succede oggi, nella nostra. 
Dettagli, sciocchezze, pedanterie da paesaggista o materia di progetto? Lo spazio vuoto è materia, soprattutto quando deve contenere un oggetto tridimensionale come una scultura, lo spazio ha delle misure, si calcola, si fiuta, si tocca, non basta copia-incollare l’immagine dell’oggetto, posizionarla in un punto prestabilito nel luogo scelto, per ottenere un bell’effetto come quello del rendering digitale (immagine fatta con il computer per mostrare la resa finale di un progetto da realizzare). Infatti, se confrontiamo l’immagine digitale verosimile che si trova in rete e la confrontiamo con la realtà, quello che vediamo è decisamente diverso dall’illusione grafica, quello che vediamo è tutto più striminzito. Non c’è meraviglia: c’è un onesto oggetto colorato, un soprammobile natalizio che sarebbe stato magnifico in un centro commerciale, dove il basamento con i cartelloni degli sponsor avrebbe avuto la sua giusta ragione di esistere, ma forse, nessuno ne avrebbe parlato.

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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