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“…Al fianco di Mary, baciandola con l’anima sulle labbra
all’improvviso questa prese il volo”.

Questo verso fu letto casualmente da una giovanissima Fernanda Pivano, scorrendo le pagine di un libro avuto in prestito dal suo Cesare Pavese: Fernanda voleva sapere che differenza ci fosse tra letteratura inglese e quella americana e la risposta di Pavese fu consegnarle una raccolta di epitaffi scritti dall’avvocato e poeta Edgar Lee Masters.
Quei versi, quelle storie, quelle voci narranti, così vibranti entrarono profondamente dentro la giovane Pivano che da allora si dedicò anima e corpo alla loro traduzione in italiano, per poi consegnare alla stampa nel 1943: la prima versione tradotta dell’Antologia di Spoon River.
C’era il Fascismo allora in Italia e il libro poté uscire solo grazie allo stratagemma di Cesare Pavese e Fernanda Pivano, che lo intitolarono “Antologia di S.River”, facendo intendere il riferimento a chissà quale santo. Poco tempo dopo la diffusione del libro fu bloccata dal regime che lo bollò come “immorale” e la sua traduttrice pagò con il carcere l’aver sfidato i dettami della dittatura fascista. Come lei stessa ha successivamente dichiarato: “Era superproibito quel libro in Italia. Parlava della pace contro la guerra, contro il capitalismo, contro, in generale, tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare. Mi hanno messo in prigione e sono molto contenta di averlo fatto”.
La missione era però compiuta: Fernanda non solo aveva capito la differenza tra la letteratura inglese e quella americana, ma aveva consegnato ai posteri quella che rimane una pietra miliare della letteratura statunitense, di cui quest’anno si festeggia il centenario. La pubblicazione dell’Antologia di Spoon River, nella sua versione definitiva, risale infatti al 1916.
Tra il 1914 e il 1915 il poeta americano Edgar Lee Masters aveva pubblicato sul “Mirror” di St. Louis una serie di epitaffi successivamente raccolti nell’Antologia di Spoon River. Composto di 19 storie, per un totale di 244 personaggi, ogni poesia descrive la vita di un personaggio, a coprire quasi tutte le tipologie umane: la giovane fanciulla, il vecchio ubriacone, il ragazzo infermo, la maestra zitella e l’ottico. E molte altre ancora che suscitano un sorriso, una lacrima oppure la totale indifferenza, se non disappunto e disprezzo, al lettore che diventa visitatore del cimitero di un immaginario paesino perso nelle colline dell’Illinois.
Nella prefazione a una delle edizioni italiane dell’opera, Fernanda Pivano scrive che “l’autore definiva questo libro qualcosa di meno della poesia e di più della prosa”. Il tono degli epitaffi è narrativo e mai declamatorio: la voce dei protagonisti, fantasmi narratori della propria vita, è vibrante seppur lontana. Hanno perso la vita, ma non sono scevri da passioni del tutto umane: Constance Hately ci confessa di aver odiato le figliastre, il giudice Somers si lamenta di essere stato meno amato dell’ubrico del paese, Minerva Jones è stata poetessa e donna violata e derisa. Francis Turner, la cui anima volò via baciando Mary, Herbert Marshall che ci lascia una verità struggente -“Questo è l’amaro della vita: che solo in due si può essere felici; e che i nostri cuori sono attratti da stelle che non ci vogliono”- senza dimenticare l’inno alla gioventù di Alexander Throckmorton “il genio è saggezza e gioventù”.
E così, di tomba in tomba, di vita in vita, di lamento in lamento, nell’abisso dei sentimenti umani, innalzati o derisi, nell’amore o nella incomprensione, la voce dei morti diventa quella dei vivi.
Oltre a Fernanda Pivano, come detto prima traduttrice del capolavoro di Masters, non si può dimenticare l’elegante versione del compianto poeta Antonio Porta e la celebrazione in musica che ispirandosi all’opera fece Fabrizio De Andrè nel suo celeberrimo “Non al denaro non all’amore nè al cielo”.
Ora, in occasione della celebrazione del centenario, Mondadori, per sottrarre i versi al logorio della fama, propone una nuova traduzione, affidata a Luigi Ballerini, poeta, critico, italianista nelle università americane, il quale si propone di seguire più il metro e la lirica che la prosa, rileggendo l’Antologia come un testo classico.
Gli abitanti della Collina tornano a parlarci delle loro vite… e anche delle nostre.

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Simona Gautieri


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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