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La rievocazione del martirio di sette monaci francesi in Algeria, nel 1996.
“Gli uccelli siamo noi, il ramo siete voi”

Per chi, come me, ha vissuto a lungo in Algeria, non è difficile immaginarsi i luoghi aspri ma verdeggianti delle montagne che circondano il Paese, i loro colori e odori, la loro pace e i loro silenzi. Luoghi bellissimi e quasi inesplorati, ma, allo stesso tempo, posti difficili e teatro di storie e misteri oscuri e inquietanti del passato, talora non svelati.
Proprio qui, è ambientata la storia di un film, il cui titolo italiano “Uomini di Dio” ha fatto subito discutere: la traduzione letterale sarebbe “Uomini e dei”, a sottolineare il rapporto tra diverse religioni e non la focalizzazione solo su “questi” uomini di Dio. Poi, però, il regista fa una scelta: racconta la vita e la tragica morte di un gruppo di monaci trappisti francesi nell’Algeria degli anni ‘90, insanguinata dalla guerra tra i terroristi del Fronte Islamico di Salvezza e il regime militare corrotto dell’epoca. E la storia ruota attorno a loro: Christian, Luc, Bruno, Célestine, Chistophe, Michel, Paul, sette dei novi monaci trappisti francesi che abitavano nel monastero di Thibirine. Sette uomini di Dio. Sette uomini, che vivono nel convento (ordinario-povero-misero), in giornate scandite da preghiere, apicoltura, lavori comunitari e chiacchiere, nella stima e riconoscenza della popolazione musulmana dei dintorni, che vede in loro un punto di riferimento e di sicurezza, dati dall’amore e dall’aiuto concreto che i monaci danno loro. Frate Luc, in particolare, dispensa assistenza e cure mediche a donne e bambini. Carità e amore ci sono per tutti. Una dichiarazione d’amore al popolo algerino.

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La locandine del film ‘Uomini di Dio’

Ma il Paese sta sprofondando in un clima di terrore: la lotta tra l’esercito governativo (“i fratelli della pianura”) e i ribelli integralisti (“i fratelli della montagna”) provoca tra la popolazione paura e smarrimento; la strage di un gruppo di operai croati cristiani, in un cantiere nei dintorni, da parte dei rivoluzionari islamici a far capire ai monaci che sono in pericolo. Per i monaci, la situazione e le intimidazioni si fanno sempre più pericolose. Nel gruppo di religiosi arriva il terrore, non tutti sono disposti ad aspettare una morte probabile, sono costretti a ripensare la loro presenza: restare sapendo di rischiare la vita o andare in un luogo più sicuro? Nonostante le avvisaglie di morte i monaci decidono di rimanere. Nella notte del 26 marzo 1996, sono presi in ostaggio, in circostanze mai chiarite. I giorni di prigionia e la loro morte restano ancora oggi avvolte nel mistero. Decapitati, i loro corpi non saranno mai ritrovati. Solo le loro teste hanno avuto sepoltura nel cimitero del monastero. Il martirio è compiuto.
Uomini di Dio ha il merito di rievocare una pagina nota a pochi (dalle prime tensioni del 1993 all’uccisione del 1996) del lungo capitolo dei martiri cristiani del ‘900. Il regista mette in luce l’umanità dei religiosi, nei quali alberga l’umana paura ma anche un amore incrollabile in Cristo e nel prossimo (anche dei terroristi, di cui non ci si augura il male: vengono curati anche loro, la morte del capo suscita compassione).
Il film non fa sconti sulla crudeltà, ma prevale comunque l’amore. Agàpe, amore divino incondizionato, ma anche amore dell’uomo per il suo simile. L’amore come tensione a quell’autenticità del vivere che consente di accantonare paure ed egoismi. Sguardi che s’incrociano e sorridono, che emanano serenità e passione, sguardi rivolti all’Infinito, che si perdono nell’eloquente melodia del canto che si fa preghiera o nell’orizzonte di una natura che ti rimanda al suo Creatore. Una vera scelta d’amore.

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Una scena tratta dal film ‘Uomini di Dio’

Un film misurato, pudico, rigoroso, determinato, composto, intenso, grave e quasi ascetico, con una splendida fotografia di Caroline Champetier.

Uomini di Dio, regia di Xavier Beauvois. Con Lambert Wilson, Michael Lonsdale, Olivier Rabourdin, Philippe Laudenbach, Jacques Herlin, Drammatico, Francia 2010, 120 mn.

I sette monaci uccisi erano: Christian de Chergé, 59 anni, monaco dal 1969, in Algeria dal 1971; Luc Dochier, 82 anni, monaco dal 1941, in Algeria dal 1947; Christophe Lebreton, 45 anni, monaco dal 1974, in Algeria dal 1987 ; Michel Fleury, 52 anni, monaco dal 1981, in Algeria dal 1985; Bruno Lemarchand, 66 anni, monaco dal 1981, in Algeria dal 1990; Célestin Ringeard, 62 anni, monaco dal 1983, in Algeria dal 1987; Paul Favre-Miville, 57 anni, monaco dal 1984, in Algeria dal 1989.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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