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La falce e il martello come la croce uncinata, come il fascio littorio, come la croce celtica. Marx come Hitler, entrambi tedeschi, Gramsci come Mussolini, entrambi italiani.
Fatico a scrivere e commentare ciò che combatto dalla quinta elementare, l’omologazione, la grande bugia, l’annullamento della verità storica.
Credo di averlo detto e scritto, dagli anni dell’infanzia e della prima adolescenza, dai banchi della Ercole Mosti, e dall’ultima fila della Giuseppe Garibaldi, Stalin fu un dittatore, la sua presa del potere post Lenin, non portò alla dittatura del proletariato, ma alla dittatura dell’apparato, al culto della personalità, quella fu dittatura, non comunismo.
Senza Stalin però e senza i 23.000.000 (ventitrè milioni) di morti sovietici, rileggete il numero e scanditelo a voce alta, la storia d’Europa sarebbe diversa, si marcerebbe col passo dell’oca e al posto di “Bella ciao”, si fischietterebbe “faccetta nera”.
Il democratico e intellegibile parlamento Europeo, coi voti pure di sedicenti esponenti di sinistra, ha voluto equiparare Nazismo/Fascismo al Comunismo. Perché? Perché la storia deve essere interpretata, e non studiata?
La falce ed il martello rappresentano le forze del lavoro, gli operai ed i contadini del mondo intero, senza confini e senza frontiere, la croce uncinata rappresenta la pura e bionda razza ariana, il fascio littorio rappresenta i latifondisti e la ricca borghesia italiana degli anni venti, i padroni del vapore, quelli che si nascondevano dietro al privilegio, non il popolo, carne da cannone. Mussolini entrò in guerra “ per portare qualche migliaio di morti al tavolo delle trattative”.
Lo scellerato patto Ribbentrop / Molotov, fu davvero molto diverso dall’immobilismo decennale delle forze occidentali nei confronti di Mussolini prima, Franco poi, ed Hitler dopo?
Ora, elencare i filosofi, pensatori, intellettuali e martiri comunisti e paragonarli a Goebbels, Himmler, Heydrich, Eicke ed altri topi di fogna simili è offensivo e vomitevole, ed infatti, io non lo farò.
Altersì, paragonare il Manifesto, il Capitale, i quaderni del carcere, Canto General, ed altri mille testi filosofici, economici, poetici al Mein Kampf è pura follia.
Citare i pensatori del passato, non comunisti, come Thomas Mann e riportare cosa pensavano della differenza tra Comunismo e Nazismo è come gettare perle ai porci.
Quindi, sinteticamente, voi rappresentanti dei popoli europei attuali, voi revisionisti e ‘pansisti’ imperanti, fate pure i vostri nauseabondi paragoni, (fascista è chi il fascista fa, semi cit.), io sto dalla parte delle Brigate Garibaldi, sto dalla Parte del Partito Comunista d’Italia, dalla parte del Partito Socialista di Giolitti, sto dalla parte dei martiri, sono in cella con Gramsci, muoio in povertà in un sobborgo di Londra con Marx.
Scappo braccato dai neri avvoltoi del regime, come Pablo Neruda, difendo il mio popolo fino alla fine, dalle stanze della Moneda, come Salvador Allende, giaccio su un tavolaccio di legno, all’interno di una lavanderia, con gli occhi aperti diventatimi improvvisamente azzurri, con il Che, parlo ai microfoni della mia radio, contro i baroni di Mafiopoli, come Peppino Impastato, esalo l’ultimo pensiero dal palco di Padova… strada per strada, casa per casa… come Enrico Berlinguer.
Se poi ai simboli, si vogliono associare i morti, entriamo in una diatriba infinita, una contabilità dell’orrore che non esime, anzi vede primi in classifica i simboli religiosi, ma a nessuno viene in mente di paragonare tutte le religioni al Nazi-fascismo, perché?
I morti sono lì, basta solo andare a ricontarli.

Ecco, questo ero, questo sono e questo sarò, incriminatemi, incatenatemi, mettetemi alla gogna, io sono Comunista, alzo il pugno, sventolo la bandiera rossa, la falce e il martello sono tatuate nel mio cuore. Voi omologatevi pure, ma io non sarò mai come volete voi.

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Cristiano Mazzoni

Cristiano Mazzoni è nato in una borgata di Ferrara, nell’autunno caldo del 1969. Ha scritto qualche libro ma non è scrittore, compone parole in colonna ma non è poeta, collabora con alcune testate ma non è giornalista. E’ impiegato metalmeccanico e tifoso della Spal.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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