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Tre secoli di storia, prima dell’era cristiana, hanno visto fiorire nella nostra Italia un ricco emporio commerciale in grado di connettere sistematicamente i vicini Etruschi e i famosi Greci, senza soluzione di continuità. Una storia talmente importante da relegarne le origini alla mitologia.

Potrebbero essere stati i Pelasgi, i fantastici popoli preellenici e antenati degli Etruschi, a colonizzare la Pianura Padana e dare le fondamenta alla città di Spina. Sarebbero venuti in Italia dalla Tessaglia sotto il re Nanas e, giunti presso la bocca del Po chiamata Spinete, alcuni avrebbero continuato il viaggio verso il centro della penisola per fondare le prime città etrusche, gli altri li avrebbero invece attesi rimanendo a guardia delle navi, dando vita a un nucleo abitativo denominato Spina. Ma secondo altri scrittori, l’onore sarebbe toccato all’eroe Diomede, combattente di Argo, che avrebbe diffuso la civiltà greca nel mare Adriatico dopo la guerra di Troia, sostando di porto in porto e fornendo insegnamenti agli abitanti locali, senza disdegnare la fondazione di città ex novo. E anche se i miti legati a Spina non si fermano qua, le vicende storiche ricostruite con la certezza dei fatti non sono certo meno affascinanti. Grazie all’archeologia, riusciamo a collocare la sua data di nascita nel VI secolo a. C., proprio mentre gli Etruschi stavano colonizzando la pianura per il controllo dei commerci via mare. Una città etrusca, dunque, ma che nel corso della sua esistenza avrebbe visto la compresenza anche di altre popolazioni. L’Etruria si era così ingrandita, fino a congiungere i due mari più vasti d’Italia, il Tirreno e l’Adriatico. E nel secolo successivo, il grande boom: fu questo il momento di maggior sviluppo soprattutto economico e commerciale. Oggi si ritiene che il tutto si basasse sul baratto, poiché mai sono emerse tracce di coniazione monetale. Dalle pregiate ceramiche figurate provenienti dall’Attica – una raccolta, quella del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, che tutto il mondo ci invidia – all’olio e al vino, dagli unguenti e profumi al marmo, fino ai tessuti, cibi e oggetti lussuosi; ogni tipo di prodotti passava da qui, in cambio di quanto più prezioso la nostra terra aveva da offrire: i suoi frutti. Proprio Atene, la città greca di cui abbiamo più notizie in assoluto, era molto legata a Spina, alla ricerca di tutti quei beni la cui mancanza le impediva di essere autosufficiente. Nel mondo ellenico giungevano carni salate – il sale era l’oro bianco dell’antichità – , legname, ambra, materiali, animali ed esseri umani. O quasi, perché gli schiavi non godevano ancora di tale considerazione. E a dimostrare l’estrema centralità del ruolo dell’antica città etrusca, una testimonianza a Delfi, nel santuario panellenico di Apollo, dove soltanto alle realtà più illustri, quasi sempre greche, era concessa la dedica di un Tesoro, ovvero un tempietto votivo che contribuiva alla magnificenza del culto apollineo. Spina era sorprendentemente tra queste, anche se ancora l’identificazione con i resti attuali non è sicura. Un rischio comune, tuttavia, è quello di bloccarsi all’apparenza di resti archeologici immobili e non riuscire a immaginare come vive le culture che li hanno prodotti. Ma la vivacità di Spina è evidente anche oggi: una città multietnica e un centro commerciale che torna a vivere nei vari manufatti di diversa provenienza e con differente destinazione. Una caratteristica, questa, ben visibile pure nel senso del sacro che le donne e gli uomini del luogo mostravano di avere, giunto sino a noi insieme ai corpi incinerati o inumati. Emblematica la pratica dell’obolo per Caronte, frammento di bronzo fuso posto nella mano destra, destinato al mitico traghettatore dei defunti verso il mondo dell’oltretomba.

Il IV secolo fu un periodo difficile per la Grecia e l’Italia, ma Spina resistette con forza e determinazione qualche decennio, dopodiché alla sua esistenza pose fine lo spostamento dei traffici commerciali, dovuto anche allo slittamento della linea di costa, in un momento di convivenza con un’altra popolazione, i Celti. Si chiuse in tal modo un capitolo enigmatico della Storia, che stiamo solo ora riaprendo. Ma la Sfinge, si sa, è custode gelosa.

 

Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
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Ivan Fiorillo

“Lo Scettico”: un divulgatore non convenzionale alla ricerca della verità.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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