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Una nuova svolta di Papa Francesco che ha modificato la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica sull’ammissibilità della pena di morte, che risale al maggio scorso ma resa pubblica solo in questi giorni. Il Pontefice riscrive il catechismo riformando il punto 2267, stabilendo che la Chiesa “si impegna con determinazione per l’abolizione in tutto il mondo” della pena di morte, perchè essa attenta all’inviolabilità e dignità dell’uomo. Il precedente, testo valido fino ad ora, risale al pontificato Wojtyla e recitava: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani”.

Una svolta, quindi, sostanziale, significativa e categorica in un’epoca in cui, davanti alla frequenza ed efferatezza di certi comportamenti, affiorerebbe istintivamente anche solo il pensiero dell’esecuzione capitale come esemplarità ma anche come deterrente. Nella storia la pena di morte sancita con processo era ritenuta la risposta valida e adeguata alla gravità di alcuni delitti e mezzo legittimo per la tutela dell’ordine pubblico e del bene comune. Oggi si sposta l’attenzione sull’aspetto individuale e si è più consapevoli che l’esecuzione capitale contiene una decisione e un’azione definitiva: togliere deliberatamente la possibilità di esistere a un altro essere umano. Toccare la tematica sulla pena di morte nel mondo significa aprire uno scenario controverso, tanti sono gli aspetti particolari, le differenze e una casistica tutt’altro che lineare, esauriente e limpida. Dati e segretezza di stato sulle morti per esecuzione in Cina, Malesia, Tailandia, Vietnam; dati parziali in quei Paesi dove la pena di morte era stata soppressa e successivamente reintrodotta; dati inesistenti nei casi di esecuzione sommaria non ufficiale e dati parziali non attendibili provenienti da quei territori in cui la pena di morte è stata sospesa solo recentemente, come in Mongolia e Guinea, dove il provvedimento risale al 2017. Una jungla di informazioni che ci pervengono ma insieme non riescono a comporre una panoramica certa e sicura. Il report di Amnesty International del 2017 ci dimostra come in Africa Subsahariana il decremento della pena capitale sia un dato visibile ed apprezzabile: il Kenya ha cancellato la pena di morte per omicidio, il Burkina Faso e il Ciad stanno lavorando a nuove leggi per modificare quelle in vigore sulla pena di morte, mentre solo in Somalia e Sudan le esecuzioni continuano anche in questi ultimi anni. In Botswana è stata ripresa la pena capitale. Nel report compaiono anche dati preoccupanti tra cui l’applicazione dell’esecuzione per traffico di droga in diversi Paesi come l’Arabia Saudita, la Cina, l’Iran e Singapore. Gli Stati Uniti rappresentano uno dei 76 stati al mondo e unico Paese occidentale dove persiste la pena di morte che continua a sollevare e incrementare un costante dibattito acceso nell’opinione pubblica su questa pratica. 37 degli States applicano la pena con modalità diverse: iniezione letale, camera a gas, sedia elettrica, impiccagione (New Hampshire), fucilazione (Oklahoma e Utah). Ultimo sperimentale provvedimento, l’uso dell’azoto per facilità di reperibilità ma dagli effetti non ancora accertati.

Non mancano nella cronaca fatti di atrocità inaccettabile come il caso del condannato a morte Lamont Reese, nel 2006 in Texas, che ha lottato fisicamente fino alla fine mentre veniva trascinato nella camera a gas gridando la sua innocenza e benedicendo gli esecutori, oppure un condannato morto dopo 40 minuti di incredibili sofferenze anziché i 7 minuti previsti dalle procedure. Assolutamente da deprecare l’esecuzione del 2007 in Ohio, durante la quale il boia non trovava le vene del condannato perché obeso. L’uomo è morto dopo 10 tentativi in due ore di agonia. E l’elenco sarebbe ancora lungo. La pena di morte in America, trova le radici storiche nelle colonie dei Padri Pellegrini, dove omicidio, adulterio, sodomia, stregoneria, alto tradimento erano i capi di imputazione. La letteratura ci fornisce molti spaccati dell’epoca come il tristemente famoso processo alle streghe di Salem (Massachusetts) nel 1693, conclusosi con tre condanne a morte per stregoneria. Il ricorso alla pena capitale perse di interesse nel corso dei secoli ma negli Anni ’70 l’opinione pubblica cambiò atteggiamento portando gli USA tra i massimi sostenitori delle esecuzioni letali, ritenendo la morte del condannato un atto definitivo che pone fine al dolore dei familiari della vittima, una sorta di risarcimento non solo alle famiglie ma alla società intera. Un atteggiamento mentale che diverge fortemente dalle tendenze abolizioniste europee ma che attualmente è nuovamente controtendenza. Oggi i reati previsti dalle sentenze sono: alto tradimento, omicidio plurimo, omicidio aggravato, spionaggio, attentato alla sicurezza nazionale, omicidio di agenti federali, poliziotti, militari e pompieri, terrorismo, stupro e tortura della vittima, abuso sessuale dei minori. Lo Stato con il più alto numero di esecuzioni è il Texas. Più che mai infervorata rimane la discussione sull’assegnazione della sentenza di morte con molte più probabilità ai poveri e meno abbienti, i relitti, la componente più debole della società, rispetto i ricchi, coloro che possono permettersi una difesa solida e accreditata. E le polemiche sul caso eccellente O.J.Simpson erano volte proprio a dimostrare come assassini ricchi non finiscono mai nel braccio della morte. O.J. Simpson, il famoso giocatore di football accusato negli anni ’90 di assassinio della moglie e di un amico, dopo anni di detenzione ha lasciato il carcere l’1 ottobre 2017 ed ora gode del regime di libertà vigilata.

Allo stato attuale le esecuzioni di morte nel mondo sembrano essere in stagnazione e l’impegno si moltiplica per contrastarle. In “Dei delitti e delle pene” (1764) di Cesare Beccaria, pilastro dell’abolizionismo, troviamo un’asserzione sempre attuale e più che mai vera, che ci inchioda davanti all’irrazionalità della cultura della violenza: “Parmi un assurdo che le leggi che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinano un assassinio pubblico.”

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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