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Valore delle competenze o valore del tempo-lavoro? Quali sono i nuovi modelli di riferimento per la stima del capitale umano nell’epoca postindustriale?

E se cominciassimo a parlare dell’economia dei “fattori immateriali”, dell’economia dei “fattori extraeconomici”? Non c’è epoca postindustriale se di questi fattori non si inizia a ragionare seriamente.
Oggi parliamo sempre più di economia della conoscenza, di società della conoscenza, di capitale sociale e di capitale umano, cosa c’è di più extraeconomico di tutto ciò rispetto al tradizionale capitale fisico fondato sulla triade classica: terra-capitale-lavoro?
In tempi di tecnologie e di intelligenza artificiale non c’è da stupirsi del venir meno del lavoro, perché il lavoro è stato tradizionalmente, a partire dal taylorfordismo, misurato sulla variabile tempo, ed è proprio la variabile tempo che la rivoluzione tecnologica ha sconvolto, abbattendo di conseguenza la necessità del lavoro umano. La divisione del lavoro aveva alla sua base la definizione di una tempistica, per lo stesso Marx il lavoro è commisurato in base al fattore tempo.
Scomposto in fattori immateriali o extraeconomici il lavoro non è più solo l’equazione forza lavoro/tempo impiegato per utilizzarla, ma comporta “un’attitudine” e “una competenza”.
La rivoluzione delle competenze non l’abbiamo ancora compiuta, nonostante la Strategia di Lisbona del 2000 con cui l’Europa ha introdotto per i suoi cittadini le otto competenze chiave della formazione; guardiamo alle competenze con diffidenza e difendiamo una concezione del lavoro che ha fatto il suo tempo, una concezione del lavoro da archeologia industriale: orario-salario.
Pensiamo agli insegnanti, sono pagati poco, si dice, perché il tempo-lavoro a loro richiesto è ridotto rispetto alle tradizionali 36/40 ore settimanali. Altra cosa, evidentemente, considerati i titoli per accedere ai concorsi, sarebbe se gli insegnanti fossero pagati non per un lavoro concepito ad orario, ma per la necessità delle loro competenze. Cosa fa di un grande manager una persona pagata anche fino a 250 volte un operaio, se non la competenza, se non quanto vale la sua competenza sul mercato nel rapporto tra domanda e offerta.
Il concetto di competenza contro lavoro-tempo si comprende meglio ricorrendo all’esempio del medico, quando siamo malati cerchiamo sempre il medico più esperto, maggiormente riconosciuto per fama in quel campo della medicina, sostanzialmente il medico più competente, ed essendo più competente più ricercato e quindi, nella dinamica della domanda-offerta, più pagato sul mercato. Non più pagato perché lavora più ore, ma più pagato perché più competente, basti pensare al grande chirurgo.
Il rapporto lavoro-tempo-salario risale agli albori della rivoluzione industriale e alle lotte per la rivendicazione dei diritti dei lavoratori, lavoratori con profili professionali molto bassi che dovevano essere tutelati dallo sfruttamento dei padroni. Nel post industriale tutto questo scompare, i lavori dai profili bassi e che richiedono tempo sono eseguiti dalle macchine o a carico delle nuove tecnologie, ciò che è sempre più richiesto è il capitale umano come risorsa di competenze, come patrimonio di conoscenza, come capacità di risolvere i problemi, come spirito di iniziativa e creatività.
Ecco che entrano in campo i fattori extraeconomici, immateriali che costituiscono le risorse dell’economia della conoscenza e della società della conoscenza: le competenze dell’uomo che lavora. La variabile tempo diviene marginale, tanto più se si può lavorare a distanza con il telelavoro, tanto più se una competenza sempre più elevata può ridurre sia i tempi di produzione che il tempo necessario al lavoro, liberando più occasioni di tempo libero da dedicare se mai ad accrescere le proprie competenze.
In un’economia in crisi divengono centrali i fattori immateriali ed extraeconomici costituiti dalle competenze. Le conoscenze in termini teoretici e pratici non sono più sufficienti, occorre essere in grado di affrontare dei compiti, essere capaci cioè di “selezionare” in relazione al compito da eseguire le conoscenze a questo funzionali.
Il modello delle competenze è un modello di formazione di “carattere applicativo” non di “carattere ripetitivo”, ancora prevalente nelle nostre scuole, estremamente importante in un mondo in cui le risorse disponibili su cui investire per il futuro sono quelle immateriali.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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